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Scuola: ha senso dare voti se non possiamo mettere tutti nelle stesse condizioni di apprendimento?

Approvato ieri il decreto per la fine dell'anno scolastico. «Tutti potranno essere ammessi all’anno successivo, ma tutti saranno valutati, nel corso degli scrutini finali, secondo l’impegno reale. Non ci sarà nessun “6 politico”», ha detto la ministra Azzolina. Giusto non dare il messaggio che l'impegno messo dai ragazzi in queste settimane sia indifferente, ma attenzione, la valutazione non potrà nemmeno essere la stessa di sempre. Anche perché ci sono 450mila ragazzi che la didattica a distanza non riesce a raggiungere

di Redazione

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera ieri al decreto legge con le norme relative agli Esami di Stato e alla valutazione delle studentesse e degli studenti per l’anno scolastico 2019/2020. La ministra Lucia Azzolina ha detto che «tutto ciò che è stato fatto sarà valorizzato. Quel che non si è potuto fare per difficoltà oggettive sarà recuperato, nell’interesse degli studenti e dei bambini. Mettiamo al centro i diritti dei ragazzi. Nessuno sarà lasciato indietro. Ci sarà una valutazione seria e coerente con quanto svolto durante tutto l’anno». Il decreto prevede che tutti possano essere ammessi all’anno successivo, ma tutti saranno valutati, nel corso degli scrutini finali, secondo l’impegno reale. Non ci sarà nessun “6 politico”.

Il meccanismo dei debiti alla secondaria di II grado per quest’anno è congelato: all’inizio di settembre invece degli abituali corsi di recupero delle insufficienze, sarà possibile, per tutti i cicli di istruzione, dalla primaria fino alla classe quarta del secondo grado, recuperare e integrare gli apprendimenti. Qui una riflessione elaborata nei giorni scorsi dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), un’associazione professionale di educatori, insegnanti e dirigenti, nata in Italia nel 1951, sulle tracce della pedagogia attiva di Célestin Freinet, con proposte per affrontare l’emergenza scuole chiuse, soprattutto in riferimento ad azioni di contrasto alle discriminazioni che si stanno determinando. Il documento integrale è allegato in fondo all’articolo. Nei giorni scorsi la Ministra, rispondendo a un'interrogazione parlamentare, ha detto che la didattica a distanza raggiunge il 94% degli studenti: il 6% che manca, che può sembrare poco, significa in realtà 450mila bambini e ragazzi che sono rimasti tagliati fuori dalle loro stesse vite.


A tanti minori sta venendo a mancare il tempo e lo spazio della socialità, dell’educazione, dell’apprendimento, ma anche la possibilità di essere sottratti, anche se per un tempo limitato, alla precarietà, all’abbandono educativo, al disagio familiare, fino a carenze nutrizionali ai quali li hanno destinati le condizioni e/o la geografia della loro nascita. Per questi soggetti la chiusura delle scuole, le difficoltà di accesso alla didattica a distanza, senza interventi mirati, aumenterà l’isolamento, l’esclusione, la discriminazione. E, in alcuni casi, nella convivenza forzosa, potrebbero accentuarsi dinamiche domestiche conflittuali.

Saranno questi soggetti a pagare un prezzo altissimo della crisi sociale conseguente all’emergenza coronavirus, se non si interverrà con misure adeguate e molto mirate a livello locale e anche individuale. Sono soprattutto queste bambine/i, studentesse/ti quelli che hanno bisogno di “sentirsi pensati” dagli adulti di riferimento, in particolare dai loro insegnanti.

Occorre garantire su tutto il territorio nazionale:

– misure a sostegno di quanti vivono in situazioni di gap tecnologico (fornitura di materiale informatico e estensione del servizio Piazza WiFi Italia, del Ministero dello Sviluppo Economico, a tutti i Comuni per permettere la connessione gratuita a una rete wifi libera/predisporre che gli operatori di telefonia mobile consentano l’estensione gratuita del consumo di GIGA per famiglie con minori);

– impegno delle scuole di procedere celermente alla dotazione di materiale informatico agli alunni che non ne sono forniti attraverso la distribuzione degli strumenti presenti nelle scuole e l’acquisto di nuovo materiale con le risorse ad hoc assegnate dal Ministero;

– l’obbligo per gli insegnanti di segnalare i casi di minori che non risultino “contattabili” a distanza;

un’unica piattaforma per la didattica a distanza messa a disposizione delle scuole dal Ministero per facilitare l’accesso di docenti, alunni, genitori alle piattaforme digitali, come succede in altri paesi;

misure per seguire i minori e le famiglie più a rischio: la fornitura dei pasti in sostituzione della mensa scolastica, l’intervento di educatori a casa, quando possibile, bibliobus circolanti, il monitoraggio costante delle condizioni di vita dei minori in situazione di isolamento. Naturalmente garantendo le dotazioni sanitarie di sicurezza per gli operatori.

[…]

Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, insegnanti stanno vivendo una situazione di cui nessuno ha fatto esperienza prima d’ora in Italia. Si possono tradurre in voti, come chiede la nota N° 388 a firma del capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione M. Bruschi , le variegate e inusuali ricerche di contatti significativi che insegnanti e studenti stanno cercando di istituire in queste settimane? Ha senso richiedere di assegnare voti in una situazione in cui mancano i presupposti per poter mettere tutti nelle stesse condizioni di apprendimento? In condizioni di precarietà della relazione insegnamento/ apprendimento, in assenza di pari condizioni di accesso, e di una narrazione comune e condivisa cosa è possibile verificare? Ha senso applicare una stessa scala per valutare situazioni di contesto molto diverse tra loro?

Nelle indicazioni Nazionali per il primo ciclo del 2012 si legge che la valutazione ha una preminente funzione formativa. Il mantenimento dei voti previsto dal D.L. 62/2017 (delega alla L.107/2015) è una macroscopica incoerenza della L. 107/2015 soprattutto perché l’utilizzo dei voti indirizza e sostiene una pratica di valutazione prevalentemente “sommativa”. Il MCE e molte altre associazioni professionali, educative, sindacali e dei genitori hanno con la Campagna “Voti a perdere” chiesto l’abolizione del voto e la revisione del decreto n° 62/17. Se quanto da noi rivendicato ha forza pedagogica in situazioni di ordinaria pratica scolastica, ancor di più oggi, a scuole chiuse, imporre l’uso dei voti è straniante e palesemente assurdo.

Non è pensabile semplificare una operazione complessa come la valutazione e farla diventare una semplice “misurazione”. Non lo è ancora di più con pratiche didattiche “fredde”, non consolidate, non accessibili a tutti e in ugual misura come quelle possibili con la didattica a distanza. Un assurdo docimologico, educativo, in una situazione emergenziale di grave precarietà del sistema Scuola, dove il voto determinerebbe ulteriori discriminazioni ed esclusioni e potrebbe contribuire ulteriormente alla dispersione scolastica.

Non servono i voti ma il dialogo pedagogico e il rinforzo del bisogno di valere di ogni bambino/a, ragazzo/a. In questa fase si dovrebbe finalmente sperimentare il ricorso alla sola valutazione sommativa in funzione formativa a termine dell’anno scolastico, con modalità descrittivo-qualitative dei risultati raggiunti per le classi intermedie. In questa direzione il Ministero potrebbe riproporre per la valutazione di fine anno un modello di scheda di valutazione senza voti, anche per la scuola secondaria di secondo grado. Per gli esami di Stato sono state già annunciate soluzioni straordinarie. L’unica valutazione e autovalutazione di cui abbiamo bisogno oggi è sulla capacità che l’amministrazione centrale e periferica, il mondo della scuola, quello politico, la società civile hanno di tutelare il diritto allo studio e i diritti dei minori, in particolare di quelli più a rischio, in una situazione emergenziale quale quella che stiamo vivendo. Soprattutto occorrono: valutazione, autovalutazione e riprogettazione là dove si rilevano dei limiti o delle difficoltà nel rispetto dei diritti dei minori.

Photo by Trung Pham Quoc on Unsplash

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