Economia

Povero il Paese che ha bisogno di sarti ed eroi

La voglia di non stare ad aspettare che la soluzione arrivi dall’alto, è incarnata dal popolo delle Sartine: movimento spontaneo di produzione di mascherine che ha ripreso in mano la macchina da cucire in ogni parte d’Italia. Una voglia di fare e di mobilitarsi umiliata però da Governo e Protezione civile. Ecco 3 domande a chi sta decidendo delle nostre vite

di Elena Granata

Dal popolo delle Sardine a quello delle Sartine il passo è stato breve. Solo pochi mesi fa, su queste stesse pagine, abbiamo raccontato quella società civile che si è data spontaneamente appuntamento nelle piazze italiane – con la tempestività del passaparola su uno smartphone – raccogliendo in modo spontaneo una domanda di partecipazione e di politica che nessun partito era in grado di catalizzare.

Oggi quella voglia di non stare ad aspettare che la soluzione arrivi dall’alto, è incarnata dal popolo delle Sartine: movimento spontaneo di produzione di mascherine che ha ripreso in mano la macchina da cucire in ogni parte d’Italia. Storie singole e collettive che appagano quella voglia di eroismo della porta accanto di cui si nutrono giornali e telegiornali. Dalle valli della bergamasca, dove molte donne si sono messe a tagliare mascherine e camici, con il tessuto non tessuto, avanzato dalle feste del paese o dalla cene in parrocchia, alle sartorie del napoletano, che hanno convertito la loro produzione tessile, fino ad arrivare ai grandi brand.

Ho seguito fin dalle prime fasi questo processo spontaneo. Una rete di persone che hanno iniziato a condividere informazioni, competenze, capacità, fatta di imprese che hanno riconvertito la loro produzione, di cooperative sociali, di conventi di suore, di singole sarte che lavorano in casa, di gruppi di ricerca che si stanno spendendo nella validazione dei tessuti e dei prodotti. Un Distretto diffuso di produzione e distribuzione che tra mille difficoltà sta muovendo i primi passi, con uno sforzo di connessione e di intelligenza collettiva che metta insieme domande e risposte, condivida fornitori, modalità di lavoro, accesso alle informazioni.

Una galassia composita che va dalla Scuola di economia civile (SEC), alla cooperativa Fantasy della Cittadella internazionale di Loppiano, dalla azienda tessile Quid di Verona alla cooperativa sociale Made in Carcere, dalle cooperative sociali di Benevento alla piattaforma Gioosto, a Federsolidarietà con la sua rete di quaranta piccole cooperative nei territori, un sistema capillare di soggetti in ogni parte d’Italia (segreteria.mascherineinrete@gmail.com).

Avremmo fatto volentieri a meno del popolo delle Sartine, se il nostro Paese avesse saputo gestire gli approvvigionamenti e organizzato in modo razionale l’emergenza. Ma così non è stato. Come ha denunciato Riccardo Bonacina, solo pochi giorni fa, “la centralizzazione degli acquisti e della distribuzione dei Dispositivi di protezione individuale (mascherine, tute, occhiali) ma anche delle attrezzature tecniche per la cura (ventilatori, strumenti per la terapia intensiva) e farmaci che è tuttora nel caos”, è stata catastrofica.

I dispositivi di protezione che ogni giorno vengono annunciati non arrivano, come dichiarato quasi ogni giorno dal sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. E come lamentato dai medici di base, delle cooperative sociali, dalle associazioni di commercianti e trasportatori. Annunci, promesse, rimbalzi di responsabilità.

È di ieri l’ordinanza della Regione Lombardia, che impone l’obbligo per tutti i cittadini lombardi di indossare mascherina o altra protezione al volto, accompagnata da quella del Veneto, che alla mascherina aggiunge anche l’obbligo di indossare i guanti.

Sembra una provocazione, ma ovviamente non lo è (soprattutto perché fino a poche settimane fa, persino in alcune Residenze per Anziani erano vietate ai sanitari preoccupati che le indossavano).

Tutti abbiamo oggi compreso l’utilità di quella mutua protezione, ma ci piacerebbe anche sapere in che modo i cittadini possano reperirle senza dover ricorrere al mercato nero o a qualche approfittatore ingegnoso. Ovviamente le disposizioni dell’Istituto superiore di sanità sono leggermente diverse. Non è nelle possibilità del cittadino capire chi abbia ragione, ma certamente questo quadro così mutevole non è di aiuto a capire come muoversi. Dove possono rivolgersi i cittadini – gentili Presidenti di Regione – per reperirle?

Perché il popolo delle Sartine è operoso – ma non è stupido – e allora formula qualche domanda.

– Perché, in queste settimane è stato pressoché impossibile l’import dall’estero di mascherine dai Paesi asiatici o da altri Paesi europei, anche a fronte di una grande disponibilità alla collaborazione offerta da reti relazioni consolidate (colleghi di lavoro, istituti religiosi e movimenti con ramificazione internazionale, imprenditori abituati a lavorare all’estero)? Come si è mosso il Ministro degli Esteri Luigi di Maio?

Perché, l’autoproduzione di mascherine da parte di aziende e cooperative è stata rallentata o fermata dal continuo rimbalzo di responsabilità, dal dedalo di certificazioni, dalla sovrapposizione di competenze? Ad oggi anche le aziende selezionate dal Politecnico, pronte per la riconversione e che hanno fatto testare dal suo laboratorio i materiali, con esito positivo, sono ancora in attesa dell’ultima parole dell’Istituto Superiore di Sanità. Perché “il Politecnico di Milano non certifica le mascherine, ma – dopo aver valutato l’efficienza dei materiali utilizzati – ne controlla la configurazione finale, allo scopo di verificare che le modalità di confezionamento non abbiano alterato le funzionalità dei materiali stessi” (vedi qui) . Quanto tempo serve all’Istituto per dare la sua risposta e sbloccare produzione e forniture? Quale posizione sta tenendo in merito la Protezione Civile?

Perché, al Terzo settore è stato assegnato un ruolo tanto marginale nella gestione delle povertà, affidando in prima battuta ai sindaci e ai servizi sociali e solo successivamente dai volontari e dagli operatori del Terzo settore (dai patronati Acli alle onlus)? Quale è la posizione del Premier Giuseppe Conte? Quali impedimenti ci sono a coinvolgere il Terzo settore a monte e non solo a valle, convocandolo per capire cosa fare per rispondere alle fragilità che aumentano e che renderanno ancora più complessa la ripartenza?

Uno Stato che voglia agire in regime di monopolio (la Cina insegna) deve essere almeno in grado di garantire i dispositivi di protezione necessari a tutelare la loro e altrui salute.

Se non è in grado di farlo, dovrebbe almeno favorire processi di governance efficaci, consentendo agli attori che hanno reti internazionali di muoversi.

Se non è in grado di farlo, dovrebbe almeno sciogliere i nodi burocratici, dare indicazioni univoche a tutte le Regioni, evitare asimmetrie e differenze tra territori meglio organizzati e periferie, assumere un atteggiamento premiale e non punitivo nei confronti delle imprese di comunità, dei sistemi diffusi e reticolari che si mettono insieme, tenendo attive aziende, macchine e personale.

Se.. ma al momento nulla di tutto questo sta accadendo. I mezzi ancora non arrivano, si lavora in condizioni da ritirata di Russia… scalzi e nudi

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