Famiglia
Cosa stiamo chiedendo ai nostri figli?
Se prima le loro giornate erano caratterizzate dall’abbraccio quotidiano coi nonni, dalle passeggiate al parco con mamma e papà, dai giochi con i compagni all’asilo o da una sana attività sportiva la loro quotidianità oggi è stata stravolta. Quali misure di supporto per loro?
Tra i soggetti che maggiormente stanno subendo gli effetti delle restrizioni a causa dei decreti per contenere la diffusione del Coronavirus ci sono senz’altro i nostri figli. Se prima le loro giornate erano caratterizzate dall’abbraccio quotidiano coi nonni, dalle passeggiate al parco con mamma e papà, dai giochi con gli amichetti all’asilo o da una sana attività sportiva la loro quotidianità oggi è stata stravolta.
Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Carla Luisa Miscioscia di Ciai, il centro italiano aiuti all’infanzia , Ong che da oltre 50 anni è attiva nel campo delle adozioni e della cooperazione, da sempre ispirata al principio di contrastare la solitudine che per un bambino è la cosa peggiore. Ciai, fin dai primi giorni di blocco, ha messo a disposizione uno sportello di supporto piscologico online gratuito (caricapositiva@ciai.it) per far fronte proprio a quelle situazioni del quotidiano oggi completamente stravolte.
«Non mi sembra che tra i vari decreti ci siano particolari misure a favore dei bambini», dice la psicologa di Ciai che in questi giorni riceve continuamente telefonate per rispondere a richieste d’aiuto di vario tipo: «C’è chi ha subito un lutto o chi si sente semplicemente recluso, il ruolo del genitore nel gestire questa fase è più che mai fondamentale».
Secondo la psicologa di Ciai sono tre i principali temi da affrontare: «l’aspetto comunicativo, ovvero il riuscire a parlare con i propri figli di quello che si sta attraversando spiegando l’esistenza di questo piccolo mostriciattolo, l’aspetto emotivo dove sentimenti come la paura, tristezza, rabbia e noia la fanno da padrone e il cosa fare».
Eleonora Di Sergio, 48 anni, mamma di Meera, Aoxim e Xinggui, rispettivamente di 17, 12 e 9 anni racconta come gran parte della giornata dei suoi figli prima scandita tra scuola e attività sportive come atletica, nuoto e calcio si svolga oggi davanti a uno schermo: «Siamo sempre stati contrari all’uso incondizionato della tecnologia, oggi tutti e tre i nostri figli frequentano le classi online e poi il pomeriggio sui libri: per far fronte all’emergenza mi sono dovuta procurare subito un altro pc», racconta Eleonora che in mancanza di una stampante ricopia a mano le schede scolastiche del figlio più piccolo.
Non che manchi l’ottimismo: «Abbiamo un giardino dove possono giocare tra di loro e speriamo che questa pandemia finisca al più presto soprattutto per chi oggi sta soffrendo».
C’è però chi il giardino non ce l’ha. E i nonni? «Con i nonni si vedono in videochiamata, certo non è proprio la stessa cosa anche perché al pomeriggio loro si vedevano sempre, dandoci anche un aiuto per organizzarci con il lavoro», aggiunge Eleonora che oltre ad accudire e far giocare i suoi tre figli lavora da casa come il marito Antonio.
Roberto De Vincenzo, 48 anni, è papà di Shree, 2 anni e Naty, 7 anni. «I nonni vivono in Puglia e spesso vengono qui da noi a Milano a trovarci. Purtroppo in questo momento non possono abbracciare i loro nipoti. Ci siamo attrezzati con videochiamate tra Whatsapp e Facetime, ma non è assolutamente la stessa cosa».
Roberto era solito fare colazione al bar nel weekend con la moglie e i suoi figli, e ora anche la vita dei suoi figli si svolge in gran parte davanti a uno schermo: «La mattina la scuola online e poi i compiti a casa che sono un po’ troppi». L’uso della Playstation è però sempre non superiore ai 45 minuti al giorno: «Giochiamo a Fifa, ma per il resto ci concentriamo su altre attività tradizionali come una partita a carte».
Naturalmente le attività online, non solo quelle scolastiche, ma anche quelle ludiche vanno sostenute. E in Italia ce ne sono tantissime. Dai corsi di teatro ai laboratori di produzione radio, come quello di Ciai con l’attrice e animatrice Paola Scalas rivolto a bambini e ragazzi tra gli 11 e i 18 anni.
Si tratta però pur sempre di stare davanti a uno schermo, quindi la domanda che vale per noi adulti vale soprattutto per i nostri figli: «Fin quando potrà durare tutto questo?».
A loro, in questo momento è stato chiesto di sacrificare una parte della propria infanzia e adolescenza, rinunciando all’aspetto sociale della propria vita.
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