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Rotta Balcanica, a Trieste continua l’arrivo dei migranti. Ma solo pochi volontari si occupano di loro

I profughi continuano ad arrivare a Trieste, la città che fisicamente rappresenta il punto finale della Rotta Balcanica. Ma l'emergenza Coronavirus ha fatto sì che diversi centri – diurni, dormitori, helpdesk – venissero chiusi. «Serve un piano d’azione responsabile nei confronti dei migranti ma anche dei senzatetto per tutta la durata dell’emergenza epidemica», denuncia Gian Andrea Franchi dell'associazione Linea d'Ombra odv. «Sono persone che non hanno un tetto, non hanno cibo, né acqua per potersi lavare. Servono strutture di accoglienza dotate di servizi igienici e assistenza sanitaria. Non è possibile che in una città come Trieste il peso di decine e decine di indigenti si appoggi sul lavoro di un pugno di volontari»

di Anna Spena

Come si sta trasformando la situazione sulla Rotta Balcanica con l’emergenza Coronavirus? La situazione è drammatica e i campi profughi nei vari Paesi della rotta sono stati messi in quarantena. Na abbiamo parlato in questo articolo “Rotta Balcanica, campi profughi in quarantena. È la soluzione giusta?”. Ma qualcuno riesce a passare il “game” l’espressione che utilizzano i migranti quando superano il confine tra la Bosnia e la Croazia, e arriva a Trieste. La città che fisicamente rappresenta la fine della Rotta Balcanica che si fa convenzionalmente iniziare in Grecia. Ne abbiamo parlato in questi due reportage “Rotta Balcanica, attraversare i confini è un game disperato” e “Rotta Balcanica, migranti trattati come gli animali”.

Ma che succede ai profughi che riescono a raggiungere Trieste? Lo abbiamo chiesto a due attivisti Lorena Fornasier, 67 anni, psicoterapeuta e suo marito Gian Andrea Franchi, 83 anni,professore di filosofia in pensione. Insieme hanno fondato nell'autunno del 2019 l’associazione di volontariato Linea d’Ombra odv. Lorena e Gian Andrea, con altri volontari, offrono prima assistenza ai ragazzi che miracolosamente passano il confine con la Croazia ma che sul corpo portano i segni delle torture. «Abbiamo iniziato a medicargli i piedi. Sono tutti giovani e stanchi. Cerchiamo di supportarli un po’ prima che ricomincino il viaggio», racconta Lorena.

Sono stati in Bosnia 19 volte per capire cosa succede oltre il confine, l’ultima a metà febbraio e noi li abbiamo accompagnati. Siamo rientrati in Italia il 23 febbraio e pochi giorni dopo, causa emergenza Coronavirus le frontiere si sono chiuse per tutti. Non solo per i profughi. «I profughi a Trieste sono di meno ma continuano ad arrivare», spiega Gian Andrea. «Abbiamo bisogno urgentemente di un piano d’azione responsabile nei confronti di migranti ma anche dei senzatetto per tutta la durata dell’emergenza epidemica. Servono strutture di accoglienza dotate di servizi igienici, cibo, vestiti, assistenza sanitaria. Non è possibile che in una città come Trieste il peso di decine e decine di indigenti si appoggi sul lavoro di un pugno di volontari. Chiediamo che ogni tentativo di speculare sul problema alla ricerca di facili consensi venga fatto tacere, e che tutti facciano la loro parte. Questa è una emergenza, e ci va di mezzo non solo la vita di chi dorme all’addiaccio, ma anche la salute di tutti i triestini. L’arrivo dell’emergenza Covid-19 ha fatto sì che diversi centri – diurni, dormitori, helpdesk – venissero chiusi dalle autorità competenti, e riaperti solo alcuni, con ricettività ridotta. Qui come altrove, la questione è: chi non ha una casa, come fa a restare a casa?».

A Trieste l’ics-ufficio rifugiati onlus e la caritas sono attivi e gestiscono i migranti che chiedono di restare in Italia. Ma chi qui invece non si vuole fermare perché sogna il nord Europa dorme per strada al freddo per paura che vegano prese le sue impronte digitali. «Non si vogliono far segnalare dalla polizia», spiega Franchi. «In questi giorni hanno dormito per strada. Noi come associazione continuiamo a curare i piedi di chi arriva e consegniamo pacchi alimentari tutti i giorni. Ma queste persone dovrebbero avere la possibilità di un letto dove dormire e un luogo dove stare in isolamento come tutti senza essere obbligati a lasciare qui le impronte digitali. Una volta finita l’emergenza devono essere liberi di raggiungere il Paese che desiderano. Nei dintorni di Piazza della Libertà a Trieste, dove ci siamo spostati o meglio dove ci hanno spostato così da essere meno visibili, malgrado il decreto, si trovano ogni giorno tra le cinquanta e le cento persone. Ripetiamo non hanno un tetto, non hanno cibo, né acqua per potersi lavare. Si tratta di un palese rischio per la salute pubblica, completamente ignorato dalle istituzioni competenti. La responsabilità di operare affinché siano evitati assembramenti in luoghi pubblici spetta al Comune e alla Prefettura, ma a tutt’oggi è mancata una risposta adeguata a questa emergenza».

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