Volontariato

Lettere dal fronte sociale/3, non dimenticate gli operatori del sociale, professionisti o volontari

Dopo le parole di sabato sera del Presidente Conte, che ha chiuso tutti i settori non indispensabili, abbiamo sentito l’esigenza di scrivere e condividere i nostri pensieri, perché tra le categorie di persone a cui è stato, giustamente, dedicato un pensiero particolare ne mancano alcune che appartengono a vario titolo all’universo di coloro che si prendono “cura” degli altri

di Francesco Montalbano

Nei giorni scorsi, quando abbiamo capito che l’emergenza sarebbe durata ancora a lungo, ci siamo chiesti che cosa avremmo potuto fare per i nostri ragazzi del Centro “Gli Scatenati”, i quali non possono più ritrovarsi quotidianamente presso il Centro.

In un video messaggio mandato ai ragazzi, abbiamo scelto di recitare Leopardi e la sua poesia l’Infinito. Questa ci ha aperto il cuore e la mente, facendoci capire che la bellezza ti può raggiungere in qualsiasi angolo di mondo e anche nelle situazioni più disparate. Allo stesso tempo, è rimasta però una sensazione di amarezza e di sconforto. Molti delle ragazze e dei ragazzi che vengono inviati dai Servizi Sociali alla nostra Associazione e in particolare presso il Centro “Gli Scatenati”, provengono dai campi Rom di Roma Capitale, chiamati un tempo da alcuni amministratori della nostra città come “villaggi della solidarietà”.

Di “villaggio” oggi hanno molto poco e sicuramente disconoscono la parola “solidarietà”, non vogliamo fare qui una polemica sulla gestione dei campi, ma sulla loro situazione attuale. Mentre noi, che apparteniamo alla parte di mondo più tutelata, quotidianamente possiamo restare connessi e fare il “lavoro agile”, e i nostri figli e nipoti, possono seguire sulle piattaforme della didattica digitale le lezioni scolastiche, i ragazzi e le ragazze che abitano nei campi rom vivono una condizione di profondo isolamento per mancanza di risorse materiali e immateriali. Isolati come tanti altri in questo mondo così digitalizzato ed avanzato ma così poco attento ai bisogni di chi vive in contesti fragili. Riusciamo a raggiungere alcuni di loro tramite whatsApp ma di altri non abbiamo nessuna notizia, e tutto questo è molto frustrante.

È per noi necessario sottolineare, inoltre, che i campi Rom sparsi per l’Italia, oggi più che mai rischiano di diventare una bomba epidemiologica, dove la concentrazione forzata di tante persone – tra cui la maggior parte bambini- fa aumentare a dismisura le probabilità di contagio.

Dopo le parole di sabato sera del Presidente Conte, che ha chiuso tutti i settori non indispensabili, abbiamo sentito l’esigenza di scrivere e condividere i nostri pensieri, perché tra le categorie di persone a cui è stato, giustamente, dedicato un pensiero particolare ne mancano alcune che appartengono a vario titolo all’universo di coloro che si prendono “cura” degli altri.

Non ci sono gli operatori del sociale, professionisti o volontari che siano, non ci sono le educatrici delle case famiglie, come la nostra, che accolgono nuclei mamma-bambino. Strutture residenziali dove le dinamiche quotidiane sono state reinventate sulla base della nuova prossemica imposta per la nostra sicurezza, sullo sforzo di mantenere la distanza minima di un metro che spesso si accorcia.

Come professionisti del sociale abbiamo molto forte l’idea che in questo momento solo se siamo uniti possiamo superare questa fase e preparaci al dopo. Siamo abituati a farlo lavorando in equipe, così come siamo abituati a pensare in una prospettiva diacronica, fare il meglio che possiamo oggi, nel qui ed ora, per affrontare la crisi attuale e gettare le basi per costruire un futuro nuovo, che non ci trovi impreparati. Prenderci cura dell’oggi e contemporaneamente del domani.

Edgar Morin, nel suo ultimo scritto scrive: a quali figli lasceremo il nostro pianeta? Il senso di questa domanda è profondissimo e quanto mai attuale, il compito nostro è quello di educare dei figli che abbiano forte il senso di empatia, siano attenti al confronto, alla comprensione e alla resilienza, interpretino il prendersi cura come gesto profondamente rivoluzionario, perché siamo tutti umani e da questo pezzo di storia che sta toccando ognuno di noi dobbiamo uscirne radicalmente cambiati.

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