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Coen Cagli: «GoFundMe? Ha ragione l’antitrust»
Per il direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma, «giusto intervenire. Non penso ci sia dolo, si tratta però di un errore gravissimo. Come si controllano le piattaforme però si pretenda dagli istituti di credito che abbattano i costi delle transazioni»
L'autorità garante della concorrenza e del mercato è intervenuta in via cautelare nei confronti della piattaforma di crowdfunding GoFundMe. Il motivo è il sito promuove la possibilità di fare in maniera gratuita e senza costi per il donante senza segnalare i costi connessi alle transazioni con carte di credito e debito e gestendo in modo poco trasparente le commissioni facoltative su ogni transazione finalizzate al finanziamento del proprio funzionamento. Come? L'antitrust ha sottolineato che al momento di effettuare la donazione, la commissione è preimpostata su un valore pari a una quota percentuale della somma donata, laddove solo il consumatore che clicca su “Altro” in un menu a tendina adiacente, inserendo l’importo zero, può annullarla. L'autorità ravvede in questo «un indebito condizionamento nei confronti dei soggetti donanti, i quali potrebbero non rendersi conto della possibilità di modificare o annullare la cifra preimpostata dalla piattaforma, o ritenerla necessaria per il suo funzionamento». Ne abbiamo parlato con il direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma, Massimo Coen Cagli.
Si sta discutendo di lana caprina o esiste il problema?
No, io credo che esista. E sia anche molto serio. Tutti sono consapevoli che nel movimentare denaro ci possono essere dei costi, e per questo tutti cercano di abbattere se non annullare questi costi. Un impegno che accomuna tutte le piattaforme e gli altri strumenti.
Giusto quindi che intervenga l'Antitrust?
Sono contento ci sia attenzione delle autorità su un tema come questo. La pratica farà il suo corso. Non sono esperto di legge e quindi preferisco non esprimermi rispetto a quel campo. Quello che posso dire da fundraiser e come esperto sulla vicenda che non è stata una scelta di buon senso quella di GoFundMe di impostare su un contributo alla propria piattaforma l'interfaccia. Fossi stato in loro lo avrei messo a zero. Per quanto riguarda invece i costi delle carte sinceramente mi sembra un po' strumentale. Parlerei piuttosto con le banche.
Sui costi delle carte?
Non solo. Giustamente si va a controllare come si muove GoFundMe. Ma perché non avere un atteggiamento analogo nei confronti dei costi delle transazioni tradizionali, come bonifici, carte di credito o di debito, quando si tratta di donazioni? In concomitanza di grandi emergenze, che hanno bisogno di risposte, anche economiche, molto veloci e muovono grandi somme gli attori finanziari dovrebbero ridurre queste percentuali ai costi effettivi dei servizi, che è noto siano molto ma molto più bassi.
Và detto che chiedere contributi è pratica normale e giustificata per le piattaforma di crowdfunding…
Le piattaforme in genere lo applicano come percentuale, generalmente molto bassa, che si giustifica con i costi di gestione, implementazione e funzionamento dell'infrastruttura tecnologica ha dei costi. Non farei il moralista. È una questione che riguarda da un lato la trasparenza e dall'altro l'opportunità.
In che senso?
In una situazione come questa, come hanno fatto molti altri, ha senso decidere di non riscuotere alcuna commissione. C'è naturalmente la libertà di chiedere un contributo, se si fa in modo chiaro e trasparente. Ma in questo contesto mi sembra fuori luogo.
La trasparenza è un tasto su cui lei insiste sempre molto…
Certo. Immaginiamo che un donatore decida di dare 50 euro all'Ospedale Sacco e scoprisse dopo che ha pagato una commissione di 5 euro senza sapere che poteva evitarla. Si sentirebbe tradito. Ora è del tutto evidente che non si tratta di un'operazione truffaldina ma piuttosto di un grave errore. Ma quel donatore, per questo disguido, rischia di essere un donatore perso.
Photo by Michael Longmire on Unsplash
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