Welfare
Una comunità nell’ex carcere
La parabola emblematica dell’Associazione Il Gabbiano, raccontata da uno dei suoi sostenitori storici. Così a Tirano, in Valtellina, in 30 anni recupero di tossicodipendenti e ora accoglienza nello Sprar sono diventati fattori condivisi e integrati nel contesto
di Aldo Bonomi
Ci sono numeri che rimbombano nell’orecchio sociale sensibile ai rumori che fanno paura: la povertà in aumento e il susseguirsi di sbarchi dei profughi. Rimandano e alimentano il timore di precipitare in povertà e la sindrome da invasione. Numeri che lascio sullo sfondo, a costo di dar ragione a chi vede nei miei microcosmi un insistere speranzoso, da “strano ma vero” sulla capacità delle società locali di metabolizzare le metamorfosi socioeconomiche.
Mi pare emblematica a proposito di paure una storia locale dove un ex carcere dismesso è diventato una comunità terapeutica per persone con problemi di tossicodipendenza ed una casa alloggio ad alta intensità sanitaria per donne e uomini malati di AIDS, e un piccolo tribunale di provincia dismesso è oggi uno SPRAR per i profughi. Strano ma vero, due luoghi emblematici della statualità, il primo del “sorvegliare e punire” che diventa “curare per includere” e il secondo del giudicare che si fa luogo per accogliere. È stato un processo lungo di confronto tra comunità di cura e comunità locale ciò che appare strano ma vero. Tirano, borgo alpino di confine tra Valtellina ed Engadina noto perché da lì parte il trenino rosso del Bernina verso Sankt Moritz meta di ben altri flussi. Qui nel 1994, in piazza della Basilica, luogo di culto mariano lì sul confine con l’Europa della riforma protestante, l’ordine religioso dei Servi di Maria affidò una parte del convento in comodato d’uso gratuito alla comunità di recupero Il Gabbiano. Che portò nella piazza del borgo figure interroganti della “società dello scarto” per dirla con Bauman in sociologese, tema spesso richiamato da Papa Francesco. Non senza problemi con la comunità locale che con petizioni e raccolte di firme tendeva a rinserrarsi, a farsi “comunità del rancore” che ci prende quando abbiamo paura di essere contaminati e scatta il meccanismo communitas- immunitas come titola un libro del filosofo Roberto Esposito. Mai come in questi casi occorre mettersi in mezzo. O per dirla tecnicamente, un mediatore culturale tra la comunità di cura e la comunità impaurita. Funzione esercitata dal convento e dalla figura storica di Camillo De Piaz, tiranese e fondatore a Milano con Davide Maria Turoldo della Corsia dei Servi. Per dirla con il Cardinale Martini egli si mise in mezzo con un “cristianesimo di minoranza” tant’è che oggi Camillo, Davide e il Cardinale Martini sono rappresentati in una targa posta nel piazzale della Comunità. Che per decisione del Comune sarà spostata nella piazza della Basilica. Annuncio fatto dal Sindaco nella giornata in cui quindici giorni fa si è inaugurato con un convegno pubblico il trasferimento della Comunità di recupero dal Convento all’ex carcere ristrutturato.
Quasi a sancire l’essere in comune, in Comune, che è il luogo istituzionale ove si rappresenta la comunità locale, e il giornale locale ha titolato, “Il Gabbiano ora è parte di Tirano” quasi a sancire l’incontro delle due comunità. Il microcosmo potrebbe finire qui, un racconto che ci fa dire che in questi tempi di crisi, paure, ed incertezze il fare comunità di cura nel riconoscere e riconoscersi aiuta a fare città e a fare società. Altre due parole chiave hanno caratterizzato la giornata welfare ed inclusione. I tempi di crisi del welfare, nazionale e locale, fanno del Comune e del Sindaco attori a scarsità di risorse a cui rimane in mano il cerino del disagio sociale. Ai Sindaci il Ministero dell’Interno chiede di mobilitarsi per l’accoglienza dei profughi. L’alleanza tra Comunità e Sindaco ha reso possibile far diventare l’ex Tribunale uno SPRAR .
La ristrutturazione dell’ex carcere non sarebbe stata possibile senza l’intervento della Fondazione Cariplo, il che induce a riflettere a fronte della scarsità delle risorse pubbliche, del rapporto necessario per realizzare un welfare di comunità, tra la comunità di cura e la comunità operosa. Così definisco il rapporto tra volontariato, associazionismo, impresa sociale e la dimensione economica necessaria per operare. Il che apre non pochi problemi nel mondo della cura sul rapporto con il mercato e le esternalizzazioni delle risorse scarse del welfare. Questi interventi non rimandano ad una filantropia caritatevole, ma ad un’azione da comunità operosa sostanziata nel caso della Fondazione Cariplo da una strategia voluta dal suo Presidente Guzzetti di costituire territorialmente Fondazioni di Comunità, che avendo radici e sensori sul territorio sono, con il mondo istituzionale e la comunità di cura, gli artefici di un welfare community sempre più necessario a fronte della scarsità delle risorse pubbliche e dell’urgenza drammatica di un sociale sempre più sotto stress. La finalità di questa alleanza tra cura ed operosità serve non solo a ristrutturare luoghi e spazi ma anche a ricordare a tutti che la cura del disagio sociale, così come l’accoglienza dei profughi, deve avere come scopo ultimo l’inclusione e porsi il problema del re-immettere nel ciclo del lavoro e dell’operosità coloro che temporaneamente vanno riconosciuti come soggetti “da curare o accogliere per includere”.
Questa piccola storia locale ci insegna in primo luogo che occorre tempo per sciogliere il grumo communitas-immunitas che alimenta le paure delle comunità locali sensibili ai rumori che fanno paura prima citati. Che il rancore, si scioglie solo con la mobilitazione di una pluralità di attori sociali, dal mediatore culturale Padre Camillo sino al Sindaco che accompagna l’evoluzione della comunità e ultimo ma non ultimo, le risorse necessarie per ridisegnare un welfare di comunità. A fronte della crisi del welfare la parola magica sembra essere sussidiarietà. Occorre capire sussidiarietà dall’alto verso il basso o sussidiarietà orizzontale? Dallo Stato ai Comuni alla Caritas alle imprese sociali o sussidiarietà orizzontale che prevede una dimensione del tempo lunga per rendere visibile gli invisibili, una mediazione culturale che si mette in mezzo, un Sindaco che accompagna società locale ed istituzioni operose, ed infine un rapporto con la comunità operosa ed economica che agisce localmente. Il microcosmo di Tirano questo insegna.
(Questo testo è stato pubblicato da Il Sole 24ore del 23 aprile, nella rubrica Microcosmi)
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