Welfare
Il bisogno di politiche sociali mai così forte come ora
Nel mondo del sociale il Coronavirus è un terremoto. Spiace vedere che le istituzioni non si stiano ponendo a sufficienza questo tema. L'intervento dell'ex assessore alle Politiche sociali di Milano e ora eurodeputato
Perfino il Governo, tra misure straordinarie e interventi particolarmente significativi, che fanno certamente sotto molti aspetti dell’Italia un modello di cui andare fieri, non sembra (ancora?) vedere una delle emergenze che vanno maggiormente monitorate.
“Vita”, ed è un grande merito, sta segnalando la cosa con precisione. In queste giornate così difficili per tutti e terribilmente drammatiche per molti ci si deve tornare sopra. Le questioni, a mio modo di vedere, sono principalmente due.
Innanzitutto si è rallentato il presidio degli interventi fondati sulla relazione e la prossimità. Sulla cura della persona e sulla dimensione del legame.
Numerosi operatori stanno facendo molto, esattamente come avviene nel mondo della scuola, per non perdere la dimensione socioeducativa degli interventi, per non perdere il “contatto”. Tuttavia non è facile.
E questo porta con sé una spirale ben precisa: aumenta il carico dell’incertezza e dell’insicurezza proprio nel momento in cui ci sarebbe bisogno di maggiore “presidio”.
E, ovviamente, si ripropone un’enorme questione economica e materiale. In altre parole tantissimi operatori sociali, magari impiegati nel privato che agisce in convenzione con il pubblico (ma che da esso non è sufficientemente tutelato) rischiano di essere tra i primi a perdere il proprio posto di lavoro.
Certo: non ci sono solo “loro” in un’Italia che si deve misurare con una crisi economica alle porte ben più consistente di quella precedente, tuttavia ci sono anche “loro”.
Ovviamente il terzo settore tutto, e in particolare quello che si trova sulla frontiera dei servizi, deve reinventarsi. Ma dovrà farlo sapendo di poter contare su istituzioni attente e meno “distratte”.
E poi c’è il tema più delicato che si sta proponendo in queste ore.
Quello costituito dall’emergenza nell’emergenza: la bomba sociale rappresentata dagli invisibili colpiti dal contagio.
Faccio riferimento a senzatetto, migranti presenti nella prima e seconda accoglienza, soggetti particolarmente fragili. Serve un intervento specifico. Per gestire con serietà e velocità i primi casi che si stanno presentando nel Paese.
A volte siamo di fronte a questioni molto banalmente “concrete”. Che possono incidere nella gestione delle strutture comunitarie. Ad esempio il fatto che garantire l’isolamento per chi, risultando positivo, non viene ricoverato, non è affatto semplice quando si frequentano spazi logisticamente difficili da riorganizzare.
Altre volte il tema è particolarmente complesso per vie della particolarità dei soggetti più vulnerabili. Laddove magari le problematiche legate alla salute mentale o alla scarsa conoscenza della lingua possono amplificare i rischi.
Per concludere: non abbiamo mai avuto tanto bisogno di politiche e operatori sociali come ora. E questa necessità crescerà ancora in futuro, quando la crisi travolgerà la vita di molti (magari a emergenza non completamente conclusa).
Le città e le istituzioni (ovvio: a cominciare dalla goffa Europa, dove stiamo con fatica tentando di introdurre una nuova “sensibilità) devono provare ad affrontare questa ulteriore sfida.
Non si perda tempo e la si affronti costruendo un fronte molto ampio.
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