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Centri per migranti: si rischia il contagio incontrollato
Condizioni di sovraffollamento, mancanza di operatori e mediatori culturali e carenze igieniche strutturali. Cresce la preoccupazione nei centri per migranti in tutto il territorio nazionale: “Il coronavirus non discrimina tra bianchi e neri” scrivono degli ospiti di una struttura a Bologna
Condizioni di sovraffollamento, mancanza di operatori e mediatori culturali, condizioni igieniche non soddisfacenti, spesso per mancanza di prodotti sanitari e per la pulizia domestica che mettono i centri per migranti. Uno scenario prevedibile è quello che si potrebbe verificare e in parte si sta già verificando nei centri per migranti, Sprar, Cas, Cpr e Hotpsot diffusi in tutto il territorio nazionale. La prima notizia ufficiale in merito a un caso positivo al Covid-19 in un centro per migranti è avvenuta a Milano, nella struttura di via Fantoli, in zona Mecenate. Qui però sono scattate subito le misure previste dal Ministero della Salute, la persona positiva è stata messa in sorveglianza sanitaria e in constante monitoraggio medico e tutti i locali della struttura sono stati sottoposti a sanificazione.
A Bologna la situazione potrebbe invece essere più critica secondo le testimonianze raccolte dal coordinamento migranti di cui fanno parte varie associazioni, comunità e sindacati e che ha inviato una lettera al Comune di Bologna, alla Prefettura e Questura della città, alla Regione Emilia-Romagna:
«Siamo i migranti e le migranti che vivono nelle strutture dell’accoglienza della città di Bologna. Le misure sanitarie adottate non valgono per noi, quando lavoriamo e dormiamo – insieme ad altri migranti e italiani – in condizioni di affollamento. Molti di noi lavorano uno accanto all’altro notte e giorno all’Interporto, dove in alcuni magazzini il lavoro è raddoppiato per star dietro alla grande richiesta di merci causata dal panico dell’epidemia. Quando dobbiamo riposare ritorniamo all’affollamento dei centri di accoglienza. In via Mattei viviamo in più di 200 e dormiamo in camerate che ospitano 5 o più persone, spesso anche 10, con letti vicini, uno sopra l’altro. Molte di queste stanze non hanno nemmeno le finestre per cambiare l’aria. Alcuni dormono in container, anch’essi sovraffollati, anch’essi senza finestre. La situazione non è molto diversa in altri centri della città, come lo Zaccarelli e Villa Aldini. Sappiamo che al centro di via Mattei hanno riservato un container per isolare gli eventuali ammalati, ma prevedere l’isolamento in un container in caso di contagio è sicuro per le cure del contagiato e la salute degli altri? A molti di noi la legge Salvini impedisce perfino di avere una tessera sanitaria e un medico di base, ci costringe a pagare i farmaci a prezzo intero e spesso ci mancano i soldi per curarci. Noi ci teniamo alla nostra salute perché pensiamo anche alla salute della città dove viviamo. Anche la sicurezza sanitaria delle donne e degli uomini migranti è importante e il coronavirus, almeno lui, non discrimina tra bianchi e neri» si legge nella lettera che evidentemente risente anche dei tagli al settore dell’accoglienza di questi ultimi anni.
«Tagli che sono più letali del virus», come sintetizza Alberto Biondo di Borderline Sicilia, l’associazione che da oltre dieci anni svolge un lavoro quanto mai attento e preciso di monitoraggio nei centri per migranti.
«I richiedenti asilo che in questo momento stanno vivendo il confinamento nei Cas, alloggiano in strutture in cui è quasi impossibile mantenere distanze di sicurezza e utilizzare norme igieniche atte a prevenire i contagi. Il personale, già decimato dai tagli del decreto sicurezza, è sempre meno presente: molti per paura hanno preso ferie ed è spontanea la domanda 'perché andare a lavorare se non prendo lo stipendio da un anno?'. La mancanza di personale fa venir meno anche le informazioni e di conseguenza la responsabilizzazione delle persone, e così spesso succede che molti, non consapevoli di quanto stia accadendo, escono rischiando sanzioni e situazioni promiscue», spiegano da Borderline Sicilia che continua a ricevere numerose segnalazioni: «Che Dio ce la mandi buona» è stato uno dei commento di una operatrice di un Cas a Borderline.
Una situazione ancora più drammatica nei Cpr ( centri di permanenza per il rimpatrio). Qui la rete Lasciateci entrare chiede l’immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei Cpr e la progressiva chiusra dei centri: «Appare, ancora, del tutto evidente che un contagio all’interno della popolazione dei Cpr avrebbe conseguenze drammatiche: le condizioni promiscuità renderebbero molto facile la diffusione del contagio nella popolazione trattenuta; molti trattenuti sono affetti da varie patologie, che ne debilitano il corpo, con conseguenti maggiori pericolo anche per la stessa esistenza in vita; un contagio in larga scala non potrebbe essere affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati, sia in quanto non sono normativamente previste aree siffatte, sia in quanto ciò significherebbe concentrare in condizioni di promiscuità, in aree isolate e con privazione dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di trattenuti contagiati, con conseguente peggioramento delle loro condizioni, non impedendo al contempo la diffusione del virus, e non consentendo la somministrazione di adeguate cure di contrasto agli effetti del virus (contrasto che non può certo adeguatamente essere operato nelle infermerie dei CPR); l’esplodere del contagio nei Cpr, dunque, imporrebbe presumibilmente un aumento significativo del numero di ricoveri in ospedale dai Cpe medesimi, con conseguenti effetti anche sulla tenuta e funzionalità de sistema sanitario (già gravemente sollecitato dall’emergenza in atto)».
Infine la schiera di migranti invisibili che vivono nelle baracche o in strada: «Non puoi lamentarti, non è giusto che mi vieni a dire queste cose a me, tu almeno hai una casa, ti puoi lavare, non soffri fame e freddo, ma soprattutto hai la possibilità di stare con i tuoi figli e tua moglie, ridere con loro, abbracciarli, giocare, piangere e incazzarti se è il caso con loro. Io sono qui in una baracca lurida e umida e non vedo i miei figli da sei anni e mia moglie non so che faccia ha, quindi non ti lamentare, e ringrazia Dio» è stato il monito di Mustafà all’operatore di Borderline Sicilia. Mustafà vive nel ghetto di Campobello di Mazara dove tutti hanno paura perché non hanno acqua, luce e le condizioni sanitarie sono sempre state disumane.
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