Famiglia
Ideale più rischio
Quali sono i suoi tratti distintivi. Parlano Carlo Borzaga, tra i massimi studiosi del settore, e Maurizio Carbognin, esperto di consulting
L?impresa sociale nasce per cogliere l?evoluzione della funzione produttiva del non profit e per offrire continuità alla risposta di determinati bisogni sociali.
Non solo perché lo Stato non ha più le risorse sui cui ha potuto contare fino alla metà degli anni 70 per poter erogare alcuni servizi, ma anche perché le imprese sociali sanno farlo meglio. Non a caso tra i lavoratori pubblici i più soddisfatti sono quelli che contano un maggior numero di assenze e al contrario nelle imprese sociali le gratificazioni sono strettamente correlate alle ore di lavoro. Mancando una legislazione specifica che identifichi in maniera netta le imprese sociali sono state elaborate delle ricerche per definire le caratteristiche al ricorrere delle quali un?organizzazione può essere identificata come tale.
Con questa finalità, nel 1998 ricercatori dei 15 Stati membri dell?Unione europea hanno costituito il network Emes, individuando due categorie di criteri: una di natura economica e una sociale.
«Questa definizione», spiega Carlo Borzaga, docente di Politica economica e finanziaria all?università di Trento e presidente dell?Issan – Istituto studi e sviluppo aziende non profit, «è applicabile al contesto europeo ma non a quello americano dove sono considerate sociali anche le imprese profit impegnate in progetti con finalità sociali». Secondo il professore, i criteri economici sono quattro. «Un?organizzazione per essere definita impresa sociale deve svolgere un?attività continuativa di produzione di beni e o di erogazione servizi e, secondo criterio, deve essere dotata di un elevato livello di autonomia non solo finanziaria ma anche decisionale».
Un?impresa sociale «deve avere inoltre un livello significativo di rischio economico: chi costituisce questo tipo di impresa deve essere consapevole che sta assumendo dei rischi».
Il quarto e ultimo elemento di natura economica è dato «dalla presenza, anche se minima, di forza lavoro stipendiata».
Fin qui le caratteristiche economiche, ma altrettanto importanti sono quelle sociali. L?Emes ne ha individuate cinque. « L?impresa sociale deve avere e mantenere una dimensione comunitaria e produrre benefici per la comunità intesa come gruppo specifico di cittadini», prosegue Borzaga.
La dimensione comunitaria «deve riflettersi anche sulla distribuzione del potere decisionale che non deve essere basato sul possesso del capitale, ma ispirato al principio ?una testa, un voto?, o quantomeno a un concetto di potere di voto non distribuito secondo il possesso delle quote di capitale. I poteri decisionali devono quindi essere condivisi con gli altri soggetti che partecipano all?impresa». L?organizzazione, insomma, deve avere una natura partecipativa che coinvolge le persone direttamente interessate all?attività.
«Altro elemento importante», precisa il professor Borzaga, «è la presenza di regole che limitino la distribuzione del profitto». Infine, le imprese devono avere come obiettivo esplicito un beneficio per la comunità.
Oltre al rischio imprenditoriale, comune alle altre imprese, quelle sociali sono esposte ad altri pericoli.
«Le imprese sociali hanno per loro natura delle strutture fragili», sottolinea il presidente dell?Issan, «e l?intervento della pubblica amministrazione, che in molti casi ha favorito lo sviluppo di alcune imprese sociali, può allo stesso tempo creare dei pericoli snaturandone la finalità distributiva. Si corre il rischio di veder sorgere imprese sociali che intervengono solo in quei settori dove ci sono finanziamenti pubblici assecondando il principio definito del ?votante mediano?, che induce a orientare gli interventi verso quelle fasce sociali che hanno maggior peso politico».
Qualche esempio? Gli anziani, che sono già premiati dal sistema distributivo che destina loro il 65% dei finanziamento delle politiche sociali: «Sono tra i maggiori soggetti beneficiari delle attività delle cooperative sociali. Per questo sarebbe auspicabile una legge che preveda fondi anche per quelle imprese sociali dal carattere innovativo stimolando così la sperimentazione.». Un altro pericolo, questa volta di natura endogena,«è quello che deriva dall?incremento dimensionale che rischia di far perdere il contatto con la comunità».
Piuttosto che di imprese sociali, Maurizio Carbognin, della società di consulenza milanese Butera & Partner (che si occupa di direzione e gestione di risorse umane ed è impegnata in diversi progetti di ricerca nell?ambito della cooperazione sociale), preferisce parlare di capacità sociali dell?impresa. «La capacità sociale è anche un valore economico e produttivo», dice Carbognin, «significa implementare una strategia che produca dei benefici non solo all?azienda ma a tutti i portatori di interessi». Il consulente spiega infatti che «la dimensione della socialità impone delle strategie che sappiano equilibrare gli interessi. Non è un elemento che interessa solo l?aspetto etico ma soprattutto quello manageriale». Nel complesso «le prospettive per questo settore sono senza altro buone, ci sono trend di crescita inequivocabili, inoltre si stanno diffondendo progetti di welfare mix e di outsourcing che pongono le imprese sociali in un posizione ideale».
Preoccupa invece «la tendenza della cultura politica egemone di vedere come componente centrale del sistema economico solo le imprese profit. I processi di privatizzazione», conclude Carbognin, «tendono a lasciare solo spazi di nicchia e l?accanimento contro la cooperazione non lascia presagire nulla di buono».
info
Carlo Borzaga, economista dell?università di Trento, ha elaborato con Jacques Defourny il quadro completo dell?evoluzione europea delle imprese sociali in Impresa sociale in prospettiva europea, (Edizioni 31, Trento, euro 20,65). Maurizio Carbognin,
consulente di impresa,
è autore di una ricerca sul Consorzio Cgm, edita ne Il campo delle fragole (Franco Angeli,
pag. 304, euro 23,24).
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