Mondo
Roversi e Dalla, la coppia che cambiò la musica in Italia
A cinque anni dalla scomparsa del cantautore bolognese lo omaggiamo ripercorrendo il suo burrascoso sodalizio artistico con uno dei massimi poeti del secondo Novecento che cambiò lui e la musica d’autore italiana per sempre
Nel 1973 il trentenne Dalla è in piena crisi di identità artistica, soffre il successo sanremese, è una dimensione che gli sta stretta. Ha raggiunto la popolarità con “4 marzo '43” e ha già rotto con Paola Pallottino, autrice di quelle parole, e detesta “Piazza Grande”, scritta da Bardotti e Baldazzi, perché «era un tentativo smaccato di ripetere l'operazione Gesù Bambino; era un'operazione di bassa lega».
Il produttore Renzo Cremonini gli fa incontrare il concittadino bolognese Roberto Roversi, scrittore e libraio, sceneggiatore cinematografico e autore teatrale. Dalla s'innamora di un verso, "nevica sulla mia mano" (da La canzone di Orlando), e nel giro di pochi mesi vede la luce l'album, concettuale e sofisticato “Il giorno aveva cinque teste” che sancisce la spiazzante metamorfosi stilistica di Dalla, dallo stesso auspicata.
La notte dopo aver completato l'incisione del disco, Lucio indirizza a Roversi una lettera grondante euforia e gratitudine: «Mi hai insegnato tutto: ad avere rispetto e paura nello stesso tempo e amore per il mio lavoro amore perché non venderei questo disco neanche per la vita di mia madre (forse ho esagerato), perché lo proteggerò anche a costo della mia vita, perché mi sento di cantarlo e di suonarlo davanti ai re (se ce ne sono ancora) e davanti agli straccioni, ai sindaci, ai matti e ai santi. (…) Ogni nota ogni accordo ogni inflessione della voce la verificavo tra me e me ma soprattutto tenendo presente quello che tu avresti voluto, preferito o scelto e cantato. Il buffo è che avevo la sensazione che avresti cantato benissimo anche tu.(…) Non vedevo il momento che arrivasse la mattina per cominciare a lavorare e cantare a tradurti e a tradurre in suoni sentimenti grida e anche battiti ritmici di cuore le tue idee».
E chiude così: «Vorrei abbracciarti e stare con te sulla tua poltrona e bere il caffè di Elena (che saluto tanto) per tutta la vita».
Nasce così una delle collaborazioni più importanti della musica italiana cantautorale.
Da una parte Dalla, estroso e precoce virtuoso del clarinetto, che già giovanissimo collabora con il celebre jazzista Chet Baker e viene scoperto da Gino Paoli. Dall’altra Roberto Roversi, bolognese comunista ed ex partigiano, ricordato in ambito letterario per i magistrali articoli di giornale e per la raccolta di poesie Dopo Campoformio, assoluta perla del secondo dopoguerra italiano, venendo annoverato nelle antologie assieme a Penna, Bertolucci, Caproni e Luzi. Collabora con Pasolini e Leonetti, con cui fonda la rivista Officina; è poi direttore di Lotta Continua.
Da questa brillante collaborazione nascono tre dischi che avrebbero cambiato i destini del cantautorato italiano. Poco conosciuti e di difficile ascolto (come poco conosciuto e di difficile lettura è del resto Roversi), a comporre il trittico sono Il giorno aveva cinque teste, del 1973, Anidride solforosa, del 1975, e Automobili, del 1976.
La relazione si concluderà bruscamente. Alcune delle scelte di Dalla rispetto a testi e brani fanno sentire Roversi tradito. I due si dividono, anche pubblicamente, in una disputa dialettica sul ruolo dell'artista nella società. Roversi denuncia (salvo poi lasciare la lettera in un cassetto) «l'esilità e la fragilità di un rapporto di lavoro tenuto sempre su un filo esile (…) Non ci sentivo dentro la cura particolare e l'affanno artigianale che seguono fino alla fine la confezione di un prodotto che deve essere sì venduto, ma deve anche e soprattutto essere difeso. Non ci sentivo rabbia e il segno anche piccolo di un coltello. (…) Non percepivo il sussulto di una reazione; l'odore di una battaglia (…) Parecchi testi dalla non li ha musicati: altri dopo ripulse, contrasti, dinieghi prolungati; e solo dopo la pressione accentuata di alcuni amici (…) Bene, ciascuno vada per la sua strada e canti al suo modo, liberamente. Saluto Lucio Dalla e gli auguro fortuna e lunga vita».
La polemica tocca il suo apice su una questione in particolare. Dalla infatti sostiene che «per fare canzoni amate dalla gente bisogna amare la gente, starci in mezzo». Roversi risponde in un articolo che i giovani che riempiono gli stadi per i concerti sono indifferenti a cosa ascoltano: partecipano per fare tutto tranne che pensare e «mettere in discussione l'ordine esistente», la loro aggregazione è «mercificata anche ideologicamente». Dalla gli replica in privato spedendogli una fotografia di un suo concerto dal messaggio sul retro velenoso: «La mia voglia di vederti è pari alla rabbia che mi prende ogni volta che ti leggo come articolante, saggista, interprete, traduttore, poeta. Vorrei che tu assistessi ai concerti dei quali tu parli e scrivi. Vorrei che una volta tanto la tua paura di vedere fosse sconfitta dal tuo desiderio di esserci».
Scendi dal piedistallo, insomma. Roversi non accetta questo distinguo tra chi vive e agisce, e chi, invece, sentenzia sprezzante dall'alto della sua torre eburnea senza mischiarsi, senza sporcarsi le mani: «Se vuoi dirmi che fare è fatica, lo so bene da me e non occorre ripeterlo. Anche scrivere un libro è tanta fatica; ma poi basta un lettore o un critico a buttartelo nel fuoco. A questo lettore, a questo critico non chiedi di passare in tipografia, perché pesi la fatica pratica dello stampare… (…) Io con i miei solitari "Diecimila cavalli" ci ho messo dieci anni a scriverlo. Quindi per questo verso, credo che ognuno sia libero, con onestà, di dire la sua».
Solo nel 1990 tornerà il sereno: Dalla, ormai emancipatosi e risoltosi, inserisce in Cambio un testo mandatogli da Roversi nel '78, Cambia la faccia di Dio, che intitola Comunista, e la relazione ricomincia, pur non raggiungendo più le passate vette creative e innovative.
«Da lui ho imparato tutto – torna ad ammettere il cantante – a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra cosa l'emozione pura. Ogni volta che scrivo qualcosa vado da lui e mi basta il fuoco o la noia che leggo nei suoi occhi per capire se ho fatto bene o male». Dopo la morte improvvisa di Dalla, Roversi lo omaggia, autocritico: «Le sue canzoni successive hanno la sua personalità, sono testi suoi e sono eccellenti, limpidi, non concettosi come quelli che gli davo io. Mi ha insegnato molto, mi ha dato una lezione, forse sono cambiato io dopo l'incontro con lui».
Dischi e esperienza quella con Roversi che in definitiva cambiò lo stesso Dalla consegnando al pubblico uno dei più innovativi e geniali poeti musicali italiani. A partire sin da subito dal primo album post sodalizio, Come è profondo il mare, Lucio Dalla scriverà infatti testi e musiche dei suoi lavori, divenendo quel grandissimo protagonista della musica d’autore che conosciamo.
Una vicenda unica, insomma, quella che ha visto l’incontro fra un eclettico musicista di formazione jazz e dalle raffinate e promettenti prospettive ed uno dei massimi poeti del secondo Novecento italiano: una vicenda che, in ultima analisi, assieme al teatro-canzone di Gaber e ad altre particolarissime esperienze nella musica leggera del Belpaese, ha aperto la strada a una fertilissima produzione artistica successiva, ponendo le basi per una svolta nel mondo della canzone d’autore.
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