Politica
Tonino Perna: «I calabresi non credono più nel voto perché il M5S li ha traditi»
La guida della Regione tocca a Jole Santelli, berlusconiana storica. Ma i risultati della tornata elettorale erano già scritti da un po’ di mesi e di fatto la partita nella punta dello stivale non si è mai giocata davvero. «I cittadini non credono più nel voto», dice il sociologo Perna, che vive a Reggio Calabria, «ma attenzione che così si mette a rischio la democrazia»
di Anna Spena
La punta dello stivale è bellissima. Eppure dalla Calabria tutti scappano. Poco meno di due milioni di abitanti disillusi. La Ndrangheta che ha messo le mani sopra a tutto, o quasi, la sanità che non funziona, il lavoro che non esiste. Le elezioni regionali, che hanno decretato Jole Santelli, coalizione del centro-destra, berlusconiana storica, nuova presidente della regione sono passate inosservate. Un po’ perché il passaggio da un governo di sinistra a uno di destra era stato ampiamente preannunciato dai sondaggi, un po’ perché la partita non è mai iniziata.
«E più di tutto perché» dice Tonino Perna, calabrese, economista e sociologo, Professore Ordinario di Sociologia Economica presso l'Università degli studi di Messina, «i calabresi sono rassegnati. I 5 Stelle li hanno traditi con l’illusione del cambiamento e alla fine quel cambiamento sapeva di vecchio. Ma se la partecipazione al voto continua ad essere così poco partecipato si mette a rischio tutta la democrazia».
Le elezioni in Calabria, visto anche la delicatezza della Regione, non meritavono più attenzione mediatica?
Le elezioni in Emilia Romagna, rispetto a quelle in Calabria, hanno avuto fin da subito una forte connotazione nazionale. In Calabria possiamo dire che la partita non è realmente mai iniziata, la destra con la candidata Jole Santelli era già in netto vantaggio. E il centro sinistra, per una lotta interna, ha rallentato di troppo la scelta del nome da candidare. L’Emilia poi è stata presentata come la roccaforte inespugnabile. Quindi il filo conduttore di tutta la campagna elettorale di Salvini è stato “se vinco qui il governo deve cadere”.
Anche rispetto all’affluenza si registra una netta differenza tra le due Regioni: in Emilia Romagna raddoppia e tocca il 67,67% e in Calabria rimane ferma al 44% in linea con il 2014. Perché i calabresi non votano più?
Rassegnazione è la parola chiave, i cittadini calabresi sono rassegnati. Non si può giustificare tutto con la malavita e la mafia che influenzano i voti. Non possiamo più continuare a dire che il voto è sempre mafioso, appunto, o controllato. Perché due anni fa il movimento 5Stelle ha stravinto in Calabria e non si può certo dire che quello fosse un voto indirizzato o mafioso. Ecco, i calabresi sono un popolo tradito, hanno creduto nel cambiamento, hanno affidato ai 5Stelle una responsabilità. I cittadini in Calabria non votano più perché sono delusi.
E su Jole Santelli?
Ma è sempre stata a Roma. In Calabria non l’ha mai vista nessuno, ha vinto appunto senza giocare.
Come si fa ad invertire la rotta?
Dobbiamo ragionare ad un livello più ampio. In generale oggi l’affluenza al voto è diminuita. Stiamo così andando verso il modello degli USA, dove da sempre, il numero di persone che si reca alle urne è basso. Ma se la partecipazione al voto continua con questo trend, ad essere a rischio è tutta la democrazia. Se la gente pensa che con il voto oggi “non si cambia niente”, un pò com'è successo in Calabria, la democrazia finisce. Dobbiamo poi rivedere l’istituto delle Regioni che quasi in tutto il Sud è stato un fallimento totale. Le Regioni dovrebbero solo programmare e dare invece più spazio ai comuni e alle città metropolitane. L’Italia è una nazione nata sui comuni, dovremmo sempre ricordarcelo.
Indipendentemente dai governi di sinistra o destra, la Calabria insieme alla Sicilia prima in Italia per numero di neet (ragazzi che non studiano e non lavorano), senza infrastrutture adeguate e con un tasso altissimo di criminalità, come dovrebbe essere gestita? Da dove si deve ripartire? Come si ridà fiducia e speranza ai cittadini?
Che tasto dolente. Io sono di Reggio Calabria, ma ho vissuto all’estero e poi sono tornato a casa. E la prima cosa da dire è che il tasso di giovani che se ne vanno dalla Regione oggi è più alto rispetto a quelli che se ne andavano in Germania, a Torino o Milano negli anni Cinquanta, gli anni del dopoguerra. Due giovani su tre, di fatto, lasciano la loro casa. Come si fa a bloccare questa emorragia? Il problema è che si perde troppo tempo a cercare di capire perché i giovani se ne vanno invece di offrire subito proposte concrete affinché non lo facciano. È inutile stare lì a cercare le cause. Mettiamo in atto soluzioni. Ogni volta che laureo un ragazzo con 110 e lode è come se gli dessi un passaporto per andare via. Allora ecco parliamo delle università. Diamo ai giovani borse di studio e di ricerca. Investiamo in cose concrete. Ci sono tante eccellenze: all’Università di Rende per esempio, in provincia di Cosenza. La facoltà di ingegneria è una delle migliori d’Italia tanto che una multinazionale giapponese che sviluppa software ha investito in questa università e dato lavoro ai nostri giovani. Non ha investito a Torino o Milano. Ma a Cosenza. Il sistema sanitario non funziona bene, e allora perché non assumiamo medici e infermieri? Queste sono misure che si possono applicare subito. O ancora, non abbiamo più assistenti sociali ma tanti ragazzi che sono pronti e hanno le competenze per fare questo lavoro. Li teniamo fermi? La spesa è piccolissima rispetto ad un obiettivo grande.
E le infrastrutture che comunque mancano?
Quelle vengono dopo. È inutile mettere in piedi opere costosissime che vedremo finite tra 20 anni se poi tra 20 anni in Calabria non c’è rimasto più nessuno. Poi chi le usa? Sì certo sono importanti, ma prima dobbiamo investire nei giovani con soluzioni a breve termine.
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