Mondo

L’aranceto nel deserto diventato case study

Il progetto di Cesvi e Schweppes (del gruppo Coca Cola) che dà da mangiare a 300 famiglie in Zimbabwe. Una delle esperienze di collaborazione tra profit e ong raccontante sul numero del magazine in distribuzione

di Daniele Biella

Aranceti nella zona desertica dello Zimbabwe: non è un miraggio ma una realtà sempre più in espansione, promossa da Cesvi in 15 comunità locali. Ben 120 ettari da cui ricavare arance e succo d’arancia per il sostentamento di almeno 300 famiglie ma non solo: le cooperative agricole formate dalle stesse comunità si sono posizionate sul mercato e già vanno a braccetto con il mondo profit, «sia per quanto riguarda la produzione sia la vendita», sottolinea Loris Palentini, capomissione dei progetti Cesvi in Zimbabwe dal 2014.


«Gli ettari erano 90 a fine 2016, ma grazie a un finanziamento di 100mila euro concesso dalla Cooperazione governativa italiana allo sviluppo e di 1,5 milioni di euro dall'Unione europea, tra le varie azioni si è potuto installare un quarto pivot per l’irrigazione donato ai colti- vatori dal governo brasiliano, ottenendo così di piantare alberi su ulteriori 30 ettari», specifica Palentini.

Il progetto si chiama Shashe Citrus Orchard e il profit si è avvicinato a Cesvi e alle cooperative di cittadini in due modalità: la prima riguarda il succo d’arancia, e l’azienda risponde al nome di Schweppes, ovvero il gruppo Coca Cola. «L’azienda ha approcciato sia noi che la comunità sia per aiutare nello sviluppo che per allargare la propria fetta di mercato. A loro andrà il prodotto destinato al cosiddetto residual market, ovvero quello che non riusciremo a vendere come frutta fresca», indica il capomissione di Cesvi. «Ora l’impianto è agli inizi della produzione, essendo gli alberi in crescita: siamo arrivati a 58 tonnellate nel 2016, tutte vendute al mercato della frutta».

A regime, ovvero tra cinque anni, «si conta di arrivare a 6mila tonnellate, stimando che il 30 percento venga venduto come frutta fresca e il 70 percento come succo d’arancia». I patti con Schweppes sono chiari: «Siamo in piena logica di mercato: siccome il fresco lo vendiamo a 16 centesimi di dollaro zimbabwiano al chilo, mentre per il succo si arriva alla metà. Il nostro interesse è vendere più arance fresche posibili, quello che non riusciremo a ven- dere lo daremo a loro».

Oltre al partenariato con Schweppes/Coca Cola, l’aranceto del Cesvi, considerato il migliore case study di cooperazione anche secondo l’Indice globale della fame 2016 (in particolare rapportato al fatto che lo Zimbabwe è ancora oggi in coda alla lista mondiale dell’Indice, ovvero al 99mo posto su 118), sta sviluppando un’altra collaborazione virtuosa con il mondo del profit, in questo caso con diverse aziende della zona che trattano sementi.

«Tra gli aranceti abbiamo posiziona- to semenzai di zucche, fagioli, arachidi, sorgo e altri elementi, che trattiamo senza ibridi e per questo motivo siamo molto ricercati dalle imprese locali», racconta Palentini. Le sementi pure valgono spesso il doppio di quelle ibride e quindi sono molto ricercate. Il processo è semplice: le sementi e i pesticidi vengono dati alle cooperative agricole senza chiedere alcun anticipo di soldi, perché «comprando poi il prodotto le aziende non avranno perdite mentre i coltivatori avranno comunque un guadagno: è un modello win-win, che giova a tutti gli attori coinvolti», rileva il capomissione Cesvi.

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