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Discutere di disuguaglianze ci fa dimenticare la povertà?
Come ogni anno, allo scandalo per le cifre presentate dal Rapporto Oxfam si affiancano critiche che mettono in dubbio la metodologia usata per il calcolo della ricchezza. La verità? Di certo non sta a Davos dove, osserva l'economista Branko Milanovic, «va in scena una tragedia mascherata da farsa»
di Marco Dotti
Fanno discutere i dati di Time to care (Aver cura di noi), il Rapporto sulle diseguaglianze sociali ed economiche presentato dalla Oxfam alla vigilia del forum economico mondiale di Davos.
Ricchezza e rendita
«L’1% più ricco deteneva a metà 2019, più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone», si legge nel nel documento. Al vertice della piramide economica (e sociale), migliaia di miliardi di dollari nelle mani della superclasse di mega ricchi (ultra rich) . La loro ricchezza è estrema, ma «il nostro iniquo sistema economico permette di ammassare sempre più risorse in quelle poche mani». Nella lettura di Oxfam la ricchezza è oramai questione di rendita, non di lavoro.
Questo perché, prosegue il Rapporto, «una volta consolidate, le fortune dei super-ricchi si moltiplicano da sole: i loro titolari non devono far altro che mettersi comodi e guardare la propria ricchezza crescere, con l'aiuto di contabili altamente pagati che negli ultimi dieci anni hanno fornito loro un rendimento medio annuo del 7,4% . Nonostante l'ammirevole impegno a devolvere il proprio denaro, Bill Gates vale ancora quasi 100 miliardi di dollari, cioè il doppio di quanto possedeva quando si è dimesso da capo della Microsoft».
Una delle ragioni di questi rendimenti fuori misura risiederebbe nel crollo dell’imposizione fiscale sulla ricchezza e sugli utili d’impresa, derivante dalla riduzione delle aliquote impositive e dall'elusione fiscale. «È inoltre opportuno ricordare – specifica il Report – che solo il 4% del gettito fiscale globale deriva dalle imposte sul patrimonio , e numerosi studi dimostrano che i super-ricchi eludono fino al 30% delle imposte a proprio carico».
Come si arriva a questi dati?
Il calcolo della ricchezza operato da Oxfam è da anni al centro di dibattiti. Come viene calcolato? Oxfam utilizza il Global Wealth Databook del Credit Suisse, istituto che a sua volta ogni anno pubblica un Global Wealth Report. Per definire la ricchezza di un individuo, dunque, ai fini del rapporto Oxfam considera il suo patrimonio netto individuale (patrimonio finanziario e patrimonio al netto dei debiti). Un punto fragile che, nel corso degli anni, ha sollevato critiche sul piano metodologico.
Se avete un patrimonio superiore ai 3200 dollari (2942 euro), scriveva già nel gennaio del 2016 Samuel Laurent su Le Monde, vi ritroverete a essere classificati tra la popolazione mondiale più ricca. Superando i 63mila euro, ci si ritroverebbe nel 10% degli happy few.
La prima critica: una metodologia scorretta
Nei giorni scorsi, altre critiche, soprattutto tra gli economisti di area liberale, sono state avanzate al Rapporto Oxfam 2020. La prima, sempre di carattere metodologico, è apparsa sul Foglio del 21 gennaio a firma di Carlo Stagnaro e Luciano Capone. «La disuguaglianza non è come dice Oxfam», titolava il quotidiano. Per Stagnaro e Capone «ancora una volta Oxfam insiste nell'utilizzo di una metodologia che inizialmente poteva essere ritenuta disinvolta, ma ormai – dopo le sempre più intense e frequenti critiche da parte di economisti che si occupano e seriamente del tema – va definita per quello che è, cioè scorretta». Oxfam ha sempre risposto alle critiche rinviando alla propria nota metodologica, ma Stagnaro e Capone insistono.
Due i limiti dell'analisi di Oxfam individuati. Primo: per la stima della ricchezza dei mega ricchi è è usata classifica di Forbes, che la esprime in dollari correnti, quindi senza tenere conto dei movimenti valutari né del potere d'acquisto nei diversi contesti nazionali. Il secondo problema è, ancora una volta, che la ricchezza globale è calcolata facendo ricorso allo studio matrice di Credit Suisse. Così facendo si finisce per considerare "povero" chi ha contratto debiti, magari uno studente universitario americano, mentre un suo coetaneo del Malawi, senza debiti, ma anche senza null'altro in tasca, finirebbe per non essere classificato tale.
Infine: proprio il rapporto di Credit Suisse usato da Oxfam, inoltre, dimostrerebbe che la disuguaglianza globale non sarebbe fuori controllo, ma in calo essendo «la quota di ricchezza in mano al top 10 per cento e al top 5 per cento è in riduzione sostanziale da almeno vent'anni».
Disuguaglianza senza povertà
Nella loro disamina su Atlantico.fr, invece, Jean-Philippe Delsol e André Babeau parlano invece di un trompe-l'oeil e sollevano una critica ulteriore e in parte inedita: questo tipo di classificazioni sulle disuguaglianze impedirebbe di mappare le povertà effettive.
Per Jean-Philippe Delsol la disuguaglianza poggia oggi su un problema molto più importante: la povertà. La questione sarebbe dunque capire sapere se la povertà sta aumentando o diminuendo e se, al netto della concentrazione delle ricchezze, quelle ricchezze e quella concentrazione producono più povertà o più ricchezza complessiva? Per André Babeau, invece, il Rapporto Oxfam, che pur «contiene interessanti suggerimenti e fornisce riferimenti originali», perde di efficacia proprio nella fase propositiva che sarebbe orientata alla stigmatizzazione della ricchezza, più che alla proposta di soluzioni. Soluzioni che, come è noto, non sono di casa a Davos.
A Davos si recita a soggetto
A rincarare la dose sulle soluzioni è arrivato un commento di Brako Milanovic, economista molto ascoltato sul tema della disuguaglianza, autore del recente Capitalism Alone. Milanovic sposta il focus sul luogo, ovvero su Davos, dove il tema delle disuguaglianze viene discusso.
Se per i libertari e i liberali che criticano il Rapporto Oxfam gli ultra ricchi non stanno ammazzando il pianeta, per Milanovic non lo stanno nemmeno salvando. Tutti si riduce a una recita a soggetto.
Scrive l'economista: «Mai nella storia del mondo la quantità di ricchezza per metro quadrato è stata così alta. Eppure, quest'anno, per la sesta o settima volta consecutiva, uno dei principali temi affrontati da questi capitani d'industria, miliardari, datori di lavoro di migliaia di persone in tutto il mondo sarà: la disuguaglianza» .
Questo ritorno alle relazioni industriali e alle politiche fiscali dell'inizio del XIX secolo è «stranamente guidato da persone che si vantano dell'importanza dell'uguaglianza, del rispetto, della partecipazione e della trasparenza. Naturalmente, nessuno di loro è a favore della legge sul Master and Servant Act o contro il lavoro forzato, ma si dà il caso che il discorso sull'uguaglianza sia stato sfruttato, negli ultimi cinquant'anni o più, nel perseguimento delle politiche strutturali più disuguali. E infatti, è molto più redditizio per loro chiamare i giornalisti e spiegare loro che tra "x" anni daranno il 90% della loro fortuna in beneficenza piuttosto che pagare i loro fornitori e lavoratori in modo ragionevole o smettere di vendere informazioni sugli utenti dei social network. È più economico apporre adesivi del commercio equo e solidale piuttosto che rinunciare all'uso di contratti a zero ore».
Tra un anno, conclude amaro Milanovic, questi capitani d'industria, «torneranno a Davos e forse si raggiungerà un nuovo record di ricchezza in dollari al metro quadro, ma i temi, nelle sale conferenze e ai margini, saranno sempre gli stessi. E andrà avanti così… finché non sarà più così».
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