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“Mai rifarei questo viaggio verso l’Europa”

Si chiama Sow Ibrahim, in arte Mandy Kaporo-rails. Dalle spiagge di Conakry in cui girava video-rap al centro hot-spot di Lampedusa, ha trascorso 14 mesi a viaggiare verso la meta di una vita: l’Europa. Tra il sogno e la realtà, di mezzo ci si è messo l’inferno libico. Ne è nata una convinzione: “Se soltanto avessi saputo in Guinea che il viaggio si sarebbe svolto in queste condizioni, non avrei mai intrapreso quest’avventura”.

di Joshua Massarenti

“Mi chiamo Sow Ibrahim, ma il mio nome di artista è Mandy Kaporo-rails. Sono polivalente: ballo e canto, reggae e rap, in francese e in pulaar, la mia lingua di origine. Vivevo a Conakry, nel comune di Ratoma, a Kaporo rails. Purtroppo sono stato costretto a lasciare la capitale guineana per via delle tensioni etniche che sussistono nel paese tra l’etnia alla quale appartengo, i peul, che non hanno mai governato la Guinea, e quella Malinké del partito presidenziale. Il mio quartiere è regolarmente devastato da atti di vandalismo che colpiscono le famiglie Peul. Assieme a mio padre, siamo stati incarcerati senza nessun motivo. Sono uscito grazie all’aiuto di un amico che fa il poliziotto, ma non non potevo rimanere in Guinea”.

La Guinea. Uno dei paesi più poveri al mondo, colpito non soltanto da una povertà estrema radicata quanto diffusa, ma anche da epidemie letali come Ebola che nel 2014-2015 hanno messo un paese in ginocchio. Una terra che Kaporo-rails ha deciso di lasciare, stanco dei conflitti politici e le tensioni etniche che hanno cambiato la sua vita.

A quando rimonta la tua fuga?

Agosto 2015.

Che ricordi hai?

Il dolore di lasciare i miei familiari, i miei amici, la mia terra. E l’inizio di un’avventura molto complicata.

Lasciare parenti e amici è doloroso. Ma non avevo scelte. E' stato l'inizio di un'avventura molto complicata.

Che ti conduce dove?

In Mali, poi in Burkina Faso, da lì in Benin, Togo e di nuovo Benin, dove mi sono fermato un anno per guadagnare un pò di soldi come moto-tassista e proseguire il mio viaggio in Niger.

Paese di transito per eccellenza…

Dall’Africa occidentale passiamo tutti da lì, o quasi. Per andare in Algeria, e da lì in Libia.

Quale il momento più duro del percorso che hai effettuato?

Nessun dubbio, la Libia. Un vero inferno. I trafficanti ci hanno rinchiuso in una specie di cortile in mezzo al nulla, nessuna casa, niente. Dormivano all’aria aperta, mangiavamo poco, l’acqua che ci davano era quella del mare, ed ogni volta che i libici venivano a controllarci ci picchiavano. Eravamo centinaia. Ci hanno preso tutto: i soldi che ci erano rimasti in tasca, il cellulare. Tutto. C’erano poi i lavori forzati. Ti prelevavano al mattino, ti costringevano a lavorare tutto il giorno e tornavamo di sera nel cortile distrutti. Non ci hanno mai pagato.

Che tipo di lavori hai svolto?

Di tutto, raccogliere mattoni per la costruzione di case, dare una mano nei cantieri edilizi, robe del genere.


Ma la polizia non è mai intervenuta?

E chi ha mai visto un poliziotto libico intervenire? Io no.

Quanto tempo sei rimasto in Libia?

Circa quattro settimane. A Zabratha.

C’erano molti migranti?

E’ pieno, quasi tutti africani. Nessuno viene risparmiato dagli abusi e dalle sofferenze che infliggono i libici.

Chi ha organizzato la traversata in mare?

Un libico di nome Saga. Lo chiamavano così.

Non lo hai mai incontrato di persona?

No, gestivano tutto i suoi intermediari.

Quanto è costato?

500 euro.

Nessuno migrante viene risparmiato dagli abusi e dalle sofferenze che infliggono i libici. La Libia è un inferno.

Il costo complessivo per arrivare da Conakry a Lampedusa?

Da Conakry a Arlit, in Niger, ho speso all’incirca per i trasporti 100 euro. Poi non ricordo con esattezza quanto ho speso per entrare in Algeria, i Tuareg ti chiedono soldi in continuazione e le condizioni di viaggio sono durissime. Alcuni tratti li ho fatti a piedi nel deserto. Non so quante deviazioni ci hanno costretti a fare. E’ stato davvero duro.

Hai visto migranti morire durante il tuo viaggio?

No, ma la sofferenza sì. Non riesco nemmeno a descriverla.

Hai mai pensato di fermarti e fare marcia indietro?

Certo che ci ho pensato! Ma dopo Agadez, non ci pensi più.

Perché?

Perché non c’è nessuno disposto ad accompagnarti sulla via del ritorno. Da solo, come fai? E’ impossibile. Devi andare fino in fondo, alternative non ce ne sono.

Come si è svolta la traversata del mare?

Siamo partiti di notte. Mi hanno messo dentro il cofano di una macchina, lo fanno apposta per impedirti di vedere le strade che percorrono fino al mare. Arrivati sulla spiaggia, i trafficanti hanno preparato uno zodiaco, per farci salire a bordo ci picchiavano e sparavano in aria perché alcuni di noi, presi dalla paura, non volevano più partire.

Arrivati sulla spiaggia, i trafficanti hanno preparato uno zodiaco, per farci salire a bordo ci picchiavano e sparavano in aria perché alcuni di noi, presi dalla paura, non volevano partire.

In che momento il pagamento viene effettuato?

Generalmente al tuo arrivo in Libia. Ti prendono tutto quello che hai addosso, compreso il cellulare. Se non hai soldi a sufficienza, contattano il tuo entourage per chiedere la somma necessaria a partire per l’Europa. C’è chi rimane un mese, altri due, fino a cinque. C’è chi durante la permanenza in Libia viene venduto tra gruppi di banditi, gli Asma Boys. C'è poi chi finisce in carcere, chi viene addirittura ucciso. Ho visto con i mie occhi libici uccidere migranti africani nel cortile in cui ci avevano rinchiuso. Purtroppo la polizia non fa nulla. Non sono stato testimone di un solo intervento delle forze dell’ordine per proteggerci. Mai!

Sullo zodiaco quanti migranti eravate?

Circa 100, 150. C’era di tutto: uomini, donne e bambini.

Cosa ti ha permesso di resistere durante tutto il percorso?

Dio e i nervi, che bisogna tenere saldi. Ci vuole anche fortuna, tanta direi. Soprattutto in Libia, dove la tua vita non vale niente ed è appesa a un filo. In qualsiasi momento, anche un ragazzino può picchiarti senza che tu possa reagire. Se lo fai, ti uccidono.

Saresti disposto a rifare il viaggio che hai intrapreso?

Se soltanto avessi saputo in Guinea che il viaggio si sarebbe svolto in queste condizioni, non avrei mai intrapreso quest’avventura.

Ma in Guinea nessuno parla dei pericoli che vi attendono?

Sì, un pò, ma la realtà supera l’immaginazione. Non puoi pensare che possa essere così duro. L’alternativa potrebbe essere quella di fermarsi in un altro paese africano, ma l’accoglienza è diversa rispetto all’Europa. Non c’è lavoro, e non ti senti in sicurezza. In Europa se sei malato, vieni curato. In Africa no. I diritti dei migranti non sono rispettati. Sei un cittadino di serie B.

Intervista realizzata con il sostegno dell'Institut Panos Afrique de l'Ouest (IPAO), media partner di Afronline.org

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