Welfare

Senza effetti speciali

Cannes insegna: il realismo sociale può battere i kolossal Usa. Ecco il meglio della produzione europea

di Antonio Autieri

Da tempo la divisione sembra chiara: all?America di Guerre stellari, le storie spettacolari con effetti speciali di ogni tipo e l?evasione dalla realtà, al cinema europeo invece l?attenzione per storie prese dalla realtà, problemi reali di gente vera. Come tutte le affermazioni troppo nette, anche questa rischia di essere fuorviante. Anche molti film americani, soprattutto in maniera indipendente da Hollywood, sanno raccontare la vita mentre, al contrario, troppi ?autori? europei ripiegano su una deriva intellettualistica lontana dal pubblico. È comunque indubbio che una maggiore attenzione alle storie e alle facce di persone ?normali?, per un cinema di chiara impronta sociale, sia sicuramente più consono a registi e sceneggiatori del nostro Continente. L?ulteriore prova si è avuta al festival di Cannes, dove ha vinto tra qualche polemica il film belga Rosetta, storia di una dolorosa ricerca di un bene assolutamente necessario – il lavoro – da parte di una ragazza. Circa un anno fa avevamo già visto come altri film si fossero, casualmente, sintonizzati sulla stessa onda- tra questi, i film inglesi Full Monty e Grazie signora Thatcher e il francese Marius e Jeannette – anche se sempre con un taglio di fondo di commedia, spesso amara, che faceva ?digerire? al pubblico un argomento non allegro. I fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne, autori di Rosetta, non offrono scappatoie al pubblico: non nuovi alla passione per temi sociali, prediligono un cinema essenziale, che non cerca di annacquare nel sorriso i drammi della vita ma che risulta tutt?altro che poco coinvolgente: di loro in Italia si è visto solo l?ultimo La promesse, storia commovente di asciutto realismo (per il quale si sono fatti giustamente i paragoni con De Sica, Zavattini, Rossellini) che raccontava una tragedia causata dallo sfruttamento sul lavoro. Certo, questo cinema sconta numerose difficoltà: spesso incassa poco, e dunque i produttori sono diffidenti; gli stessi registi, per questo timore, si autocensurano e cercano goffamente di rendere meno foschi certi drammi. Soprattutto, raramente queste storie suscitano grande interesse fuori dai confini del proprio Paese. L?Europa sarà anche unita, ma le mentalità sono distanti. Chi, in Italia, avrebbe seguito le vicende di una cinquantina di anziani abitanti di uno sperduto villaggio irlandese se Svegliati Ned non fosse stata una commedia irresistibile? Ma ogni tanto qualche eccezione riesce a dimostrare che, se proposti adeguatamente, anche certi temi possono ?passare?. Per esempio, nel cinema francese c?è un filone costituito soprattutto da giovani leve di autori che amano raccontare la realtà. Nei mesi scorsi ha riscosso un certo successo anche in Italia la rivelazione francese dell?anno, La vita sognata degli angeli dell?esordiente Erick Zonca: storia di due ragazze alla ricerca di un posto nella vita e della diversa risposta che ognuna darà al proprio disagio. L?anno prima fu ?rischiato? nei nostri cinema addirittura durante le feste natalizie, in mezzo a tanti film d?evasione, un piccolo film come Ci sarà la neve a Natale? che non temeva di mostrare la vita di una donna alle prese con il lavoro dei campi, fra condizioni economiche difficili e sette figli da sfamare. In entrambi i casi la concretezza narrativa lascia ammirati. Ma è il cinema britannico quello che maggiormente è riuscito, da una decina d?anni, a raccontare la vita e le vicende spesso dure delle fasce più deboli, soprattutto operai e disoccupati. Sulla scia del cinema arrabbiato degli anni Sessanta, è Ken Loach che dall?inizio degli anni Novanta si è rivelato un punto di riferimento di un cinema ?vero? che ha anche il merito di farsi apprezzare da ogni tipo di pubblico. Grazie a una sottile ironia che permea anche le denunce più indignate, i suoi film – Riff raff, Piovono pietre, Ladybird Ladybird, My name is Joe – circolano con discreto successo in tutta Europa. Anche in Italia ormai Loach conta su molti ammiratori, come pure – in misura minore – l?altro grande inglese Mike Leigh, affermatosi definitivamente con il toccante Segreti e bugie. Anche in Gran Bretagna, non a caso, molti registi si sono formati in quella fucina che è il documentario sociale per ritrovare gli stessi temi, ampliati, nei propri film; in genere uno stile sobrio ma non povero esalta il gusto per la narrazione fatta di piccole annotazioni (la vergogna che coglie chi perde un lavoro di fronte a una società improntata al successo, le difficoltà a superare la crisi conseguente, l?indifferenza di chi ha una vita ?facile?) e l?attenzione ai volti, anche grazie al ricco serbatoio di ottimi attori.


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