Welfare

Anmil: non possiamo aspettare un’altra Tyssen per rendere il lavoro sicuro

«Nel nostro Paese purtroppo si cambiano le cose solo a fronte delle tragedie», così Sandro Giovannelli, direttore generale di Anmil, commenta i dati Inail che raccontano una crescita delle denunce sul lavoro che nel 2016 sono state 638.812 contro le 632.665 del 2015

di Lorenzo Maria Alvaro

Nel 2016 sono tornati a salire gli infortuni sul lavoro. Si parla di 636.812 denunce di infortunio nel 2016 contro le 632.665 del 2015. I dati sono dell’Inail ma non contengono gli occupati in nero, i dipendenti della polizia di Stato e delle polizie locali da cui proverrebbero ulteriori 100 decessi “invisibili”. Il dato positivo è che scendono le morti, anche se rimangono sopra la quota mille (1018 nel 2016, erano 1172 nel 2015). Per commentare questi numeri abbiamo chiesto l’aiuto di Sandro Giovannelli, direttore generale di Anmil.


Che cosa ci dicono, in linea generale, questi numeri?
Per prima cosa va chiarito che abbiamo oggi un'unica fonte di dati che è l’Inail. Dunque ogni ragionamento viene fatto esclusivamente sulla base di questi dati. Quello che si dvev edire è che, rispetto al 2015, questa fonte certifica che c’è stato un aumento delle denunce di infortuni sul lavoro. E questo è per noi l’elemento più preoccupante. Perché negli ultimi 7/8 anni avevamo sempre avito un trend in diminuzione. Per la prima volta quest’anno c’è un aumento.

Non è possibile che l’aumento sia dovuto anche all’aumento di posti di lavoro?
Si certo, arriva nel momento in cui, dopo anni di crisi occupazionale, c’è una crescita di occupazione. Quindi sembrerebbe che al crescere dell’occupazione crescano anche gli infortuni. Questo però non è un bel segnale, tutt’altro. Significa che le politiche implementate in questi anni non hanno dato i risultati sperati. A questo va aggiunto che la crisi è ancora forte sui settori più a rischio, come l’edilizia. Questo significa che dovremmo aspettarci che alla ripresa del mercato dovrà corrispondere un ulteriore aumento degli infortuni. E questo è inaccettabile.

Cosa non ha funzionato?
Abbiamo avuto una fortissima spinta nel 2007 legata al gravissimo accadimento della Tyssen che portò all’emanazione del nuovo testo unico e all’apertura di queste nuove norme che riguardassero anche la scuola. Ma con ogni probabilità quella spinta purtroppo si è esaurita. Bisogna capire che non si può aspettare la prossima Tyssen per avere lo stimolo a risolvere i problemi.

Cosa bisogna fare? Quali le priorità?
Per prima cosa rivedere la parte dei controlli. È un fatto positivo che sia finalmente partito, dal primo gennaio scorso, l’ispettorato unico. È importante che siano dati i mezzi a questa agenzia per muoversi rapidamente. La seconda fase riguarda la formazione dei lavoratori, che purtroppo è spesso solo un adempimento burocratico senza sostanza. Il terzo aspetto è l’impegno su una diffusione della cultura della legalità del lavoro e quindi una cultura della sicurezza sul lavoro. Rispettare le regole è sinonimo di sicurezza ma non si può fare se non si rispettano le regole generali del lavoro. E questo sforzo deve partire dalle scuole e coinvolgere complessivamente l’opinione pubblica.

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