Famiglia

I piccoli miracoli di Fatima

Dal 1998 una psicologa raccoglie gli orfani delle stragi commesse dai terroristi in Algeria. La sua testimonianza

di Luciana Manari

Occhi di bambini che hanno visto i loro genitori indifesi massacrati da colpi d?ascia e mitragliate. Nelle orecchie le urla di terrore di madri e sorelle violentate prima di essere sgozzate. Oggi parlano a fatica quei bambini e se lo fanno raccontano soltanto storie che sanno di sangue e di morte. Sono gli orfani della guerra civile d?Algeria, che in sette anni ha prodotto più di cento mila vittime per mano dei guerriglieri integralisti islamici del Gia. A queste infanzie infrante una psicologa cerca di ridare dignità e prospettive future. Si chiama Fatima Karadja, è algerina ma di nazionalità francese e ha trasformato una villetta nei sobborghi di Avignone, in Francia, nella Casa d?Hydra, un centro di accoglienza dove fino a oggi sono passati più di cento bambini psicologicamente traumatizzati. Tutti provenienti dal villaggio algerino di Sidi Hammed, completamente cancellato l?11 gennaio dello scorso anno da una delle incursioni delle Guardie di Allah. Oggi sono in sette i minori ospitati nella Casa d?Hydra. Tutti orfani e marchiati a fuoco nella mente a cui Fatima e il suo pool di psicologhe dell??Associazione nazionale di sostegno all?infanzia in difficoltà?, da lei fondata, cercano di restituire un progetto di vita. «Sono bambini fragili come cristalli», spiega Fatima. «Basta un piccolo choc perché scattino come schegge impazzite frantumando la più piccola apertura conquistata. Hanno tra i 6 e i 13 anni, ma presentano un vissuto atroce e comune: tutti hanno visto i genitori e i fratelli barbaramente massacrati dai terroristi. La maggior parte di loro ha difficoltà di concentrazione e i casi più gravi sono rinchiusi in un mutismo ermetico che non risponde più ad alcuno stimolo». Le storie che raccontano i bambini Le storie raccolte da Fatima Karadja? Eccone alcune allucinanti. «Alla piccola Fatima, dieci anni, hanno sgozzato padre e madre e due fratellini sotto gli occhi e poi sparso le membra per casa. Khaled, sei anni, continua a ripetere che il suo papà è stato costretto a inginocchiarsi con le mani sopra la testa prima che gli sparassero il colpo di grazia alla nuca. A Salima, sette anni, hanno massacrato la famiglia e anche quella dei parenti che abitavano a fianco: sono arrivati di mattina, hanno fatto uscire tutti i maschi. Poi hanno cominciato a sparare e dopo che li avevano feriti hanno lasciato che il sangue uscisse fino alla morte», racconta la psicologa. Una delle tecniche di recupero più utilizzate alla casa d?Hydra è il gioco, da cui la psicologa e le sue collaboratrici traggono interpretazioni terapeutiche importanti. «Facciamo in modo che siano soprattutto loro a proporre i giochi. È una tecnica per avvicinarli e superare le enormi diffidenze. Solo dopo aver riconquistare la loro fiducia è possibile individuare progetti per il futuro. Ma la cosa più difficile è spostare la loro attenzione dalla strage. Molti dei bambini quando giocano ripetono le violenze che hanno visto. In questo modo emulano le gesta dei massacratori e si preparano a loro volta a diventare forti, per vendicare in futuro le famiglie», dice Fatima Karadja. I disegni per comunicare Il modo in cui comunicano più facilmente è con i disegni. «Così non sono costretti a confrontarsi con chi gli adulti, che per loro rappresentano una potenziale minaccia», riprende Fatima. «Quasi tutti i bambini usano molto il colore rosso e disegnano figure di donne senza i vestiti e uomini barbuti armati con spade insanguinate vicini ai corpi delle vittime con la gola tagliata. E nel disegno i terroristi sono sempre più grandi delle vittime». L?esempio in quello che è poco più che uno scarabocchio del piccolo Ammed di dieci anni. Accanto all?onnipresente uomo barbuto armato, una figura di donna e accanto una scritta: ?Mamma, mamma?. «Evidentemente»,conclude Fatima Karadja «malgrado il panico di quei momenti, agli occhi dei bambini non è sfuggito nulla. E il loro timore è che tutto possa improvvisamente ricominciare».


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