Welfare
Accoglienza senza pregiudizi: a Milano apre Casa Arcobaleno
Costruita dalla cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi, in collaborazione con il Comune è un appartamento aperto ai giovani discriminati dalle proprie famiglie per il loro orientamento sessuale. Parla il primo ospite: «Finalmente qui ho un tetto e un letto, e non mi sembra vero: la cosa che mi ha fatto soffrire di più è stata fingere. Qui posso essere me stesso»
Il salotto di casa è ravvivato da un grande striscione a sei colori appeso alla parete. E da alcuni cuscini nelle stesse tonalità, appoggiati sul divano. Siamo a Casa Arcobaleno, l’abitazione aperta a Milano, nel mese di luglio, dalla cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi, in collaborazione con il Comune. Qui possono trovare un rifugio sicuro e protetto i ragazzi e le ragazze discriminati dalle famiglie di origine a causa del loro orientamento sessuale.
«Da diversi anni ci occupiamo di emergenza abitativa» spiega Giovanni Raulli, direttore area residenzialità, housing ed emergenze sociali della cooperativa. «Ci siamo trovati di fronte a ragazzi che, dopo avere fatto comingout, venivano buttati in strada dai loro genitori. Abbiamo iniziato ad accoglierli in strutture per uomini e donne senza fissa dimora, ma ci siamo resi conto che non era la soluzione più adatta per loro. Spesso si tratta di ragazzi molto giovani, neomaggiorenni, e il contesto del dormitorio, dove ci sono persone molto più adulte e con altre problematiche, risultava poco accogliente. Anch’io sono gay e anche se nella mia vita non ho subito discriminazioni forti, so che ancora molti ragazzi vivono situazioni difficili per il loro orientamento sessuale. Così, insieme al mio gruppo di lavoro, ho iniziato a pensare a Casa Arcobaleno. Qui non solo accogliamo ragazzi omosessuali, ma li aiutiamo a costruirsi un percorso di autonomia. L’idea è che rimangano massimo un anno, finchè riescono a trovare un lavoro, dopodichè abbiamo a disposizione altri appartamenti, dove possono andare a vivere con altri ragazzi, pagando un affitto calmierato».
La casa, di proprietà della cooperativa, ha tre posti letto e al momento ospita, Nadir (nome di fantasia), un ragazzo che proviene da una città del nord Italia. «Sono nato qui, ma i miei genitori sono maghrebini, musulmani. Per loro l’omosessualità è inaccettabile, la considerano una malattia. Ho sempre saputo che ero gay e negli anni questa consapevolezza si è rafforzata. Un paio di anni fa, i miei l’hanno scoperto guardando il mio profilo instagram e mi hanno buttato fuori di casa. Ho passato dei momenti terribili, ho dormito da amici e anche per la strada».
Mentre è fuori casa, Nadir viene a conoscenza di un indirizzo email a cui può mandare una richiesta d’aiuto: antidiscriminazioni@comune.milano.it. Prende coraggio e scrive. Viene subito contattato, sostiene alcuni colloqui e dopo poco viene accolto a Casa Arcobaleno, come primo ospite.
«Questa vuole essere una casa come tutte le altre, dove si vive una quotidianità fatta di spesa, pulizie, studio, lavoro…», spiega Marina Coppadoro, coordinatrice Housing Sociale di Spazio Aperto Servizi. «Abbiamo un’équipe di lavoro formata da me e da due educatori, a disposizione degli ospiti (al momento c’è solo Nadir, ma presto arriveranno altri due ragazzi). Innanzitutto li guidiamo verso l’autonomia economica e lavorativa; quindi, se vogliono continuare a studiare, li indirizziamo verso un percorso formativo, oppure li aiutiamo a trovare un lavoro. Poi è fondamentale anche il supporto emotivo: sono ragazzi che soffrono molto, perchè rifiutati dai genitori. Quando possibile, vorremmo aiutarli a ricostruire una relazione con le famiglie di origine. Stiamo poi cercando di tessere relazioni con le più importanti associazioni del mondo Lgbt, per offrire sostegno da diversi punti di vista, come per esempio quello legale, quando necessario».
Sergio Viganò è uno dei due educatori impegnati con casa Arcobaleno: «Per adesso veniamo qui due volte a settimana. L’aspetto più complesso del nostro lavoro è accogliere il vissuto di questi ragazzi e aiutarli a ripercorrere la loro storia, per capirne il senso e per comprendere chi sono e chi vogliono diventare. Il nostro compito è quello di fornire loro strumenti semantici e linguistici, perché possano riconoscere se stessi e riconoscersi anche all’interno di una comunità che li può accogliere».
«I pregiudizi verso i gay sono ancora tanti, anche in una città come Milano, soprattutto verso le ragazze:», continua Marina Malgeri, l’altra educatrice, «tanto che abbiamo deciso di non divulgare l’indirizzo di questa Casa, per salvaguardare l’incolumità e la privacy dei nostri ospiti».
L’indirizzo di posta elettronica a cui chiedere aiuto è stato pubblicizzato a giugno, dopo l’ultimo gay pride di Milano, da allora sono arrivate circa 15 richieste via email. Altre sono giunte attraverso le associazioni gay e i servizi sociali del Comune. La maggior parte delle persone che scrivono sono di Milano e provincia, ma alcune anche del Sud Italia.
«Casa Arcobaleno è la prima casa che abbiamo aperto per aiutare gli omosessuali, il nostro obiettivo è quello di aprirne altre, anche in altre città, tenendo conto delle diverse esigenze dei nostri ospiti», annuncia Raulli. Che chiosa: «Per esempio ci sono persone omosessuali che ci hanno chiesto aiuto, ma che presentano patologie psichiatriche. Potrebbe quindi essere necessario in futuro aprire una casa su misura per loro». Il costo di mantenimento della Casa, compreso il lavoro dell’équipe educativa, è di circa 3.500 euro al mese. Il comune di Milano si fa carico di circa i due terzi di questa cifra. Il resto arriva da una raccolta fondi lanciata da Spazio Aperto Servizi. «Finalmente qui ho un tetto e un letto, e non mi sembra vero:» conclude Nadir con la voce tremante, «la cosa che mi ha fatto soffrire di più è stata fingere. Qui posso essere me stesso. Che cosa sogno per il mio futuro? Mi piace tanto ballare e sarebbe bello fare il ballerino, ma non ho studiato danza. Anche il commesso non mi dispiacerebbe, vediamo… Ma la cosa che vorrei più di tutte è che la mia famiglia mi accettasse per quello che sono. Vorrei riuscire a costruirmi la mia vita, per dimostrare che, anche se sono gay, posso fare tanto».
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