Comitato editoriale
Haiti, 7 anni fa il peggiore terremoto di sempre: situazione ancora scioccante
Il 12 gennaio 2010 il sisma, lo scorso ottobre l'uragano Matthew: piaghe naturali affossano le speranze di 10 milioni di persone che camminano per strada a fianco di maiali, sporcizia e cattivi odori. La testimonianza di Daniela Bernacchi, amministratore delegato dell'ong Cesvi, di ritorno dal Paese centroamericano
Era il 12 gennaio, come oggi. Sette anni fa. 220mila vittime e tre milioni di sfollati, in quello che fino a oggi è stato il terremoto più forte mai registrato nell’emisfero occidentale: è successo ad Haiti, uno dei luoghi più poveri del pianeta che da allora è sprofondato ancora di più in uno sfortunato agone di mancanza di necessità primarie ma, soprattutto, di speranza e futuro. “E’ ancora scioccante camminare per le strade dell’isola, e le condizioni ultimamente sono addirittura peggiorate dopo il passaggio, 100 giorni fa, dell’uragano Matthew, che ha provocato 900 morti e almeno 300mila nuovi profughi interni”, spiega Daniela Bernacchi, amministratore delegato dell’ong Cesvi, tornata da poco da Haiti. Piaga dopo piaga, le cifre sono ora disarmanti: “stiamo parlando di un Paese dove l’80% dei 10 milioni di abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno, al 162mo posto su 186 per quanto riguarda l’Indice di sviluppo umano”.E’ inoltre il più povero delle Americhe e l’unico non africano delle cinque nazioni più povere in assoluto (le altre sono Togo, Sierra Leone, Niger, Repubblica democratica del Congo).
Dal sisma del 2010, centinaia di ong si sono riversate su Haiti con progetti di varia natura, un carrozzone di aiuti umanitari che ha sempre bisogno di trasparenza e coordinamento per non essere controproducente. Cesvi era presente nel paese centramericano già dal 2009, con progetti di supporto ai coltivatori locali e produzione di formaggi, e da allora ha portato avanti progetti specifici in particolare per contrastare fame e colera, le due emergenze primarie, a cui si è aggiunto l’aspetto sanitario dopo il passaggio dell’uragano. “Prima ci siamo concentrati sulle attività igienico-sanitarie, ripulendo le latrine e distribuendo kit igienici e pastiglie per la depurazione dell’acqua”, specifica Bernacchi. "Oggi continuiamo le distribuzioni di cibo e generi di prima necessità nell’area di Jérémie, il capoluogo della Grand’Anse”, prosegue Bernacchi, “La popolazione è stanca ed esasperata, l’uragano ha spazzato via i raccolti e distrutto le sementi: la vita degli haitiani, in questo momento, dipende dagli aiuti alimentari delle ong. Basta poco per scatenare tensioni e violenza. Ma il rapporto che abbiamo saputo costruire con le comunità locali ci mette al riparo da questi episodi, sentiamo che la gente si fida di noi”.
Con programmi cash for work, per esempio di costruzione di canali di irrigazione, raccolte d’acqua e terrazzamenti anti frana – finanziato da ECHO, l’ufficio di aiuti umanitari dell’Unione europea – “si contribuisce inoltre al sostentamento di molte famiglie di coltivatori di banane, l’attività prevalente, che possono così aumentare le loro esigue entrate”. I beneficiari diretti sono almeno 1620 famiglie, in totale sono 190mila le persone interessate dall’azione dell’ong: “tra queste, le 100 donne che lavorano in una cooperativa artigianale e i bambini che tuteliamo da prostituzione e lavoro minorile nelle discariche”, ulteriori problemi che rendono la vita sull’isola “un trauma, con strade maleodoranti e maiali per strada in mezzo ai bambini. E’ tutto ancor più stridente perché sono luoghi che invece evocherebbero scenari del tutto diversi guardando al nome che portano, come il quartiere Cité Soleil, nella capitale”, riporta l’ad di Cesvi. Proprio a Port-au-Prince l'ong ha creato una Casa del Sorriso, frequentata ogni giorno da 300 bambini, con un parco giochi, spazi per attività ludiche e ricreative e una scuola formale.
Perché è importante mantenere alta l’attenzione su Haiti? “Perché, nonostante tutto, c’è una società civile nel Paese che non va lasciata sola: è viva e ha bisogno di supporto, di sentirsi presa in considerazione dal resto del mondo”, indica Bernacchi. Dal 2004 ad Haiti ci sono osservatori dell’Onu, le ultime elezioni sono state monitorate ma si è ancora lontani da una reale efficacia governativa per fare ripartire un minimo la nazione. Come se non bastasse, la vicina e ricca Santo Domingo (uno dei paradossi più insostenibili del mondo: al di qua del confine bambini che muoiono di fame, al di là voli charter e alberghi cinque stelle per il turismo balneario) “ha imposto un blocco delle importazioni – vitali – delle banane da Haiti e, tramite una nuova assurda legge, lasciato senza cittadinanza dominicana migliaia di persone haitiane che erano nate o si erano trasferite a Santo Domingo dopo il 1928. Per questo, è importante continuare a collaborare con le associazioni locali, con le persone”. Cesvi ha lanciato in tal senso in queste settimane una forte campagna di informazione su Haiti su vari mezzi di informazione: “i bisogni sono talmente enormi che anche un piccolo aiuto può fare la differenza”.
Foto di Nicoletta Ianniello
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