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Il nuovo Corno d’Africa; opportunità per l’Italia, risorsa per l’Europa

Mentre la Francia si interroga sui suoi tredici militari morti nel Sahel, un'altra regione attira l'attenzione di investitori, cooperanti e Stati: è il Corno d'Africa, che sta conoscendo un nuovo sviluppo. Se ne parla oggi all'Italia Africa Business Week

di Marco Dotti

Pensiamo all'Africa. Da un lato abbiamo il Sahel, che attira l'attenzione soprattutto per i movimenti jihadisti. Notizia di oggi: i 13 soldati francesi morti in Mali, in condizioni ancora tutte da chiarire. Il Sahel, osservano alcuni analisti, potrebbe raccogliere l'eredità dell'Isis e diventare terreno di lotta, non solo di coltura, del jihadismo globale.

E poi c'è il Corno d'Africa, ponte tra Asia e il Grande Continente, avamposto verso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, connotato per molte buone pratiche e un relativo sviluppo.

Di nuovo Corno d'Africa si è discusso, oggi, all'Italia Africa Business Week, in corso tra oggi e domani a Milano. Giovanni Carbone, responsabile del programma Ispi per l'Africa, tra i relatori dell'incontro, racconta che il Corno d'Africa “è ancora alla prese con una serie di vulnerabilità di lungo periodo”. Ma in quest'area geopolitica di rilevanza strategica naturale sta accadendo qualcosa di nuovo. Il Corno d'Africa, “soprattutto nei grandi investimenti in infrastrutture, come in Etiopia, o alimentari, come nel Sudan, nel campo energetico, petrolifero e di gas naturale in Etiopia, ha sviluppato una grande competizione a livello globale”.


A livello di Paesi che vengono da lontano, la Cina la fa da protagonista prestando molta attenzione al controllo di postazioni strategico-portuali, sulla via della seta che attraversa il Corno, in particolare da Gibuti. Altri Paesi come l'India, spiega Carbone, si sono riaffacciati al Corno, temendo un accerchiamento marittimo da parte della Cina.

Ma anche la Russia, esclusa dagli USA da Gibuti, ha cercato accordi per lo sfruttamento di porti con il Sudan.

Il commercio estero totale della regione è sestuplicato dal 2007 al 2018 ed è cresciuta la rilevanza delle infrastrutture.

Quello che ancora non sappiamo, conclude Carbone, è se questa situazione genererà nuovi rischi, nuove tensioni o oppure no. Pensiamo proprio alla Repubblica di Gibuti, piccolissimo stato che ospita basi militari di Paesi diversi (Giappone, Cina, Francia, ma anche Italia).

E l'Italia? L'Italia ha prestato molta attenzione per i flussi migratori che, negli scorsi anni, sono stati molto intensi dall'area. Dal punto di vista italiano, ha spiegato Giuseppe Mistretta, del Ministero degli Affari esteri, la stabilizzazione del Corno d’Africa è una priorità strategica.

Ma oltre al controllo, c'è il commercio, con i rischi e le opportunità aperte dall'African Continental Free Trade Agreement, un'area di scambio che riguarda 54 Paesi, 1,2 miliardi di persone e un Pil di 2.500 miliardi di dollari.

Si tratta, ha spiegato Carbone di Ispi, di "​una delle più grandi del mondo per numero di economie partecipanti. Un'area che prevede l’eliminazione di dazi e quote sul 90% delle merci che attraversano i confini interni al continente, permettendone il mantenimento, per una fase transitoria, solo sul restante 10%, ritenuto ‘sensibile’ dai paesi che prendono parte al progetto".

La liberalizzazione riguarda anche il settore dei servizi e punta alla "creazione di un vasto mercato di beni e servizi che abbracci l’intera regione è parte di un percorso più lungo che prevede come stadi successivi, in un futuro non ancora prossimo, l’unione doganale e quella monetaria".

Insomma, l'Africa guarda sempre più all'Europa e si prepara a superarla in unità.

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