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Minori: 30 anni di Convenzione, fra nuovi diritti e diritti da attuare per tutti

La strada da fare è ancora lunga, il mondo è cambiato rispetto al 1989 e accanto all'attuazione dei diritti già scritti c'è il tema di nuovi diritti da individuare. Ma soprattutto tutti i diritti devono essere reali, per tutti. La Garante così lancia l'impegno su 4 primi livelli essenziali delle prestazioni per i minori: mense scolastiche per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia, posti di nido per almeno il 33% dei bambini, spazi-gioco inclusivi e una banca dati sulla disabilità dei minorenni

di Sara De Carli

Sono trascorsi 30 anni dall’adozione a New York della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Una ricorrenza che impone un bilancio su ciò che è stato fatto e sulle sfide, presenti e future: la Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, ha convocato così per oggi una densa giornata riflessione, con sei tavole rotonde per affrontare sei temi cruciali: una città a misura di bambino; rafforzare il sistema di protezione e prevenzione; l’inclusione dei minorenni vulnerabili; il contrasto alla povertà educativa; la tutela del benessere e la promozione di sani stili di vita; la Convenzione riscritta dai ragazzi, uno sguardo sul futuro.

«Trent’anni sono tanti e sono pochi allo stesso tempo. Pochi non perché non sia stata fatta tanta strada, ma perché la strada da fare è ancora lunga», ha ricordato Fausto Pocard, professore di diritto all’Università degli Studi di Milano, presentando il volume “La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: conquiste e prospettive a 30 anni dall’adozione” edito per l’occasione e scaricabile dal sito della Autorità Garante. «Cosa manca per la piena attuazione dei diritti in Italia lo ha indicato il Comitato Onu», ha detto Filomena Albano aprendo la giornata di studio: «Tra le raccomandazioni di febbraio 2019: superare le disparità territoriali e raccogliere dati su violenza, disabilità, fuori famiglia, salute mentale e dispersione scolastica. E ancora: assicurare maggior ascolto ai minorenni, garantire il diritto alla salute, contrastare l’abbandono scolastico, garantire la sicurezza degli edifici e migliorare la protezione dei minorenni vulnerabili».

La realtà di oggi, rispetto a quella del 1989, quando la Convenzione CRC venne approvata, è un mondo diverso, con nuovi bisogni, nuove esigenze e nuove vulnerabilità. «Per questo il titolo di questa giornata è “Diritti in crescita”, che a prima vista appare contraddittorio, nel senso che i diritti sono scritti, sono punti fermi, non sono polverizzati. Però ci sono dei diritti scritti da attuare e nuovi diritti da individuare, come il diritto dei bambini a non essere lasciati soli, a non dover assistere a discussioni o litigi tra genitori, a coltivare i propri sogni e a realizzarli, a utilizzare in modo consapevole e sicuro i nuovi media digitali. I diritti sono sì punti fermi, ma vanno interpretati in chiave evolutiva alla luce del principio, fissato dalla Convenzione, della prevalenza del superiore interesse del minore». E ancora, parlare di diritti significa parlare di qualcosa che deve valere per tutti, senza eccezioni e differenze: tutti i diritti per tutti i bambini, “non uno di meno”, ha ricordato la Garante citando il celebre film. «Oggi invece i servizi all’infanzia e all’adolescenza non rispettano standard minimi uguali per tutti. Per colmare tali differenze occorre definire i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione. Come Autorità garante ne abbiamo indicati quattro: mense scolastiche per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia, posti di nido autorizzati per almeno il 33% dei bambini fino a 36 mesi, spazi-gioco inclusivi per i bambini da zero a 14 anni e una banca dati sulla disabilità dei minorenni. Si tratta dell’inizio di un percorso per definirne altri, cosicché sia possibile celebrare i 30 anni della Convenzione dando il via a una serie di azioni concrete per l’attuazione dei diritti di bambini e ragazzi. Perché nessun bambino resti indietro: non uno di meno, non un diritto di meno». Non per nulla “l’albero” scelto come immagine del convegno, che ha al centro della chioma i “diritti in crescita”, ha per tronco la “partecipazione” dei ragazzi e dei bambini stessi.

Tra gli interventi più incisivi della giornata, quello del direttore dell’istituto penale per minorenni di Nisida, Gianluca Guida. «Spesso si associa la criminalità a un territorio, come se ci fossero territori patogeni. Tutti i territori sono patogeni, solo che alcuni hanno gli anticorpi che assorbono il disagio e non lo fanno diventare devianza e poi assorbono la devianza e la fanno diventare inclusione. Il ragazzo che arriva a Nisida non è più il ribelle, è il violento. E parlando con loro, rileggendo le loro storie, vedi che c’è l’assenza del padre e la conseguente mitizzazione della figura maschile. C’è una crisi anche della parte maschile della comunità, che non è morale e non sa dare valore alle regole. La sfida non è recuperare la certezza della pena ma la funzione della pena, che è quella di ricreare un equilibrio. La giustizia minorile è giustizia di comunità, c’è una corresponsabilità del territorio, a mostrare la propria capacità di paternità, ovvero la capacità di relazioni che nutrono contro una sterilità di relazioni». Il tema della corresponsabilità è tornato moltissime volte, a cominciare dalla comunità educante di cui ha parlato Carlo Borgomeo. Si cita spesso quel celebre proverbio africano per cui “ci vuole un villaggio per educare un bambino”: ma il villaggio esiste ancora? Questa la sfida per subito, non per i prossimi trent’anni.

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