Mondo
Attentato a Berlino: sfida ai diritti umani
Non c'è dubbio che la prima reazione alle immagini degli attentati che stanno colpendo l'Europa sia di grande rabbia. Ma gli attentati sono una sfida all'Europa sui diritti umani. E rischiamo di perderla
Non c'è dubbio che la prima reazione alle immagini degli attentati che stanno colpendo l'Europa sia di grande rabbia.
Facile, inoltre, farsi irretire dalle sirene di chi chiede di rispondere alla violenza con altrettanta violenza, contro migranti, arabi, musulmani, profughi. Difficile ragionare in maniera lucida in questi momenti. Eppure va fatto. Perché uno degli obiettivi di chi organizza gli attentati è proprio quello di generare queste reazioni nell'opinione pubblica europea.
Si può dire di tutto sulla Merkel, anche (più che probabilmente vero) che le sue aperture di questi mesi ai rifugiati siano meno etiche e più legate agli interessi dell'industria tedesca, che ha bisogno di mano d'opera, possibilmente scolarizzata e formata come i siriani. Ma bene ha fatto, va sottolineato, a reagire all'attentato di Berlino scandendo con forza che la Germania manterrà la sua politica di accoglienza. Meno bene hanno fatto coloro che, in Europa ed in Italia, reagiscono scompostamente e ripropongono ricette demagogiche, populiste e xenofobe.
Chi vuole portare il terrore in Europa ha le sue verità assolute. C'è un bene assoluto da una parte, e un male assoluto dall'altra. C'è una cultura positiva ed una negativa. C'è un modo di vivere corretto ed uno sbagliato.
Quelli che reagiscono in maniera violenta e xenofoba sono esattamente uguali. Pensano di essere loro dalla parte del bene assoluto. Pensano che la nostra sia l'unica cultura positiva. Pensano che il nostro modo di vivere sia l'unico giusto.
Così facendo, respingono tutto quello che è diverso dalle loro verità assolute e tutti coloro che non le accettano. Spingendo queste persone, volenti o nolenti, dall'altra parte. Se questa fosse una guerra, come questi detentori delle verità assolute europee dicono, allora costoro sono, paradossalmente, i migliori reclutatori di combattenti per il nemico.
Perché si combatte l'Isis? Certamente perché ci sono interessi economici enormi in gioco. Ma anche, spero, perché negano diritti umani fondamentali. Perché, dove governano, sgozzano le persone, umiliano le donne, arruolano bambini. Su questo campo ci sfidano apertamente; in nome di una verità assoluta, i diritti umani non contano.
Se, allora, in nome delle "nostre" verità assolute siamo disposti anche noi a tutto, se l'opinione pubblica chiede sempre più di respingere tutti, di rimandare persino la gente a morire nei Paesi da cui fuggono, diventiamo sempre più uguali a loro.
Se un siriano o un iracheno, nei territori controllati dall'Isis, non ha diritti, e allo stesso siriano o iracheno, giunto in Europa, non riconosciamo i suoi diritti, qual è la differenza tra noi e loro? E in nome di cosa, poi, in nome di quale presunta autorità morale superiore dovremmo fare ciò? E a che fine? Per aumentare la nostra sicurezza?
Chi conosce e parla quotidianamente con i migranti sa che il 99,9% di loro non ha nulla in comune con Isis e affini. Anzi, spesso sono fuggiti proprio da loro, e li odiano più di noi, anche perché li hanno conosciuti da vicino e sulla loro pelle. Se, a volte, non si riconoscono nemmeno nel nostro mondo è perché se ne sentono emarginati, perché percepiscono ostilità e diffidenza, perché gli si chiedono tutti i doveri ma non gli si riconoscono i diritti. E magari restano, così, a metà strada. Non si schierano affatto con gli attentatori, ma ricambiano la nostra diffidenza con altrettanta diffidenza. Ci conviene?
Non credo che siamo in guerra, come molti dicono. La guerra è altra cosa, si trova in ben altri posti e se ci siamo coinvolti è semmai proprio in quelle parti del mondo. Ma ammesso e non concesso che sia una guerra, va combattuta con armi diverse. Va combattuta restando fermi nella trincea dei diritti umani. Va combattuta con un'accoglienza seria ed efficace.
Va combattuta assolutamente imponendo il rispetto delle nostre leggi a chi vive qui, anche quando in contrasto con alcuni aspetti culturali diversi, ma senza pretendere una totale assimilazione. Va combattuta sapendo che non esistono verità assolute, ma al massimo relative. Non lo sono le loro, non lo sono le nostre. Va combattuta creando nuovi cittadini europei, e non un grosso corpo estraneo, una società nella società, un grande ghetto culturale e persino fisico, dove alcune posizioni più radicali possono trovare terreno fertile.
Questo è il modo di rispondere alla sfida che ci è stata lanciata. Questo è il modo di fare terra bruciata attorno a chi punta a distruggerci. Questo è il modo di costruire un continente dei diritti.
Ma a sentire quello che dice una parte crescente dell'opinione pubblica e di chi la fomenta, ho paura che sia una sfida che ci stiamo avviando a perdere.
In copertina: Berlino, il giorno dopo. Fotografia di Odd Andersen/Afp/Getty Images
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