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Migranti, dalla Ue attacco frontale alla società civile

Prima le accuse di Frontex alle navi delle ong in mare, poi un video ufficiale in cui il Consiglio d'Europa certifica l'approccio di chiusura dei confini anche verso i profughi aventi diritto: "E' un atteggiamento che crea sgomento e fa emerge un vuoto di valori laddove, invece, l'Unione europea dovrebbe tutelare le vite di tutte le persone", sottolinea il candidato al Nobel 2015 Mussie Zerai

di Daniele Biella

Com’è possibile che Frontex, l’agenzia dell’Unione europea per il controllo delle frontiere, faccia un attacco così diretto alle ong impegnate a salvare vite in mare in collaborazione con la Guardia costiera, accusandole di connivenza con i trafficanti? Sono sgomento, non capisco le ragioni. O meglio, forse una spiegazione c’è: si vogliono togliere di mezzo testimoni di ciò che accade per poi essere liberi di fare respingimenti in mare?”. Mussie Zerai, sacerdote eritreo rifugiato in Italia 25 anni fa e nell’ultimo decennio punto di riferimento per migliaia di migranti che lo chiamano chiedendo aiuto dalle carceri della Libia così come lanciando sos dalle imbarcazioni in avaria, commenta così la rivelazione della testata inglese Financial Times riguardo a un dossier di Frontex proprio contro le navi delle organizzazioni non governative, che andrebbero a prendere i migranti “troppo vicine alla costa Libica” favorendo l’immigrazione clandestina. “Voglio vedere le prove di simili illazioni. Si parla addirittura di trasbordo diretto dai barconi alle navi, quando è noto che ogni azione delle ong venga coordinata con il Comando centrale della Guardia costiera”, continua Zerai, candidato al Nobel per la pace 2015 e di cui è prossima la pubblicazione di un libro biografico (Padre Mosé di Giuseppe Carrisi, Giunti edizioni 2017). “Al contrario le navi umanitarie sono spesso importanti baluardi di fronte al far west in atto nel Mediterraneo, dove negli ultimi mesi ci sono stati spari dei trafficanti ma anche abbordaggi della guardia costiera libica come successo a Medici senza frontiere, nonché di fronte a tempi di salvataggio che a volte sono troppo lunghi e omissioni di soccorso”. Proprio Msf, tramite il proprio capo missione ricerca e soccorso, Jens Pagotto,, ha subito respinto in toto le "accuse estremamente serie e dannose”, chiedendo "un chiarimento tempestivo all’agenzia Frontex, rimanendo in attesa di un incontro formale”.

Oramai è più che nota una stretta securitaria in atto nel Consiglio europeo, a cominciare dalla chiusura delle frontiere passando per “progetti di respingimenti in mare paventati da più parti nella Ue”, sottolinea il sacerdote eritreo. “La formazione della Guardia costiera libica va in tale direzione, e si parla anche di respingimenti diretti dalla Libia, luogo da cui non smettono di arrivarmi chiamate di denuncia di persone disperate che vengono scambiate da gruppi di miliziani, subendo violenze e soprusi durante il viaggio e nei centri di detenzione, con la complicità di funzionari libici corrotti che a fronte di uno stipendio molto basso non esitano ad accettare soldi dal miliardario business dei trafficanti di esseri umani”. Violenze, in particolare nei riguardi delle donne, che poi arrivano in Europa con gravidanze indesiderate, ancora una volta documentate nero su bianco da un rapporto Onu appena uscito, come riporta l’osservatorio A-dif: “Il collasso del sistema di giustizia libico ha provocato uno stato di impunità nel quale gruppi armati, bande criminali, contrabbandieri e trafficanti controllano il flusso dei migranti attraverso il paese. La missione Onu in Libia, Unsmil, ha ricevuto informazioni attendibili che alcuni esponenti di istituzioni statali e alcuni funzionari locali hanno partecipato al sistema di contrabbando e traffico”.

Nonostante quesi evidenti problemi a livello di diritti umani alle porte della Fortezza Europa, l’ultimo, eclatante atto del clima di chiusura che imperversa nelle istituzioni europee è un video che lo stesso Consiglio europeo ha promosso a fine 2016 per raccontare quanto fatto nel corso dell’anno. Come si può vedere, è una narrazione in cui viene rimarcato con successo il fatto di avere arginato i flussi e stretto accordi per respingere persone, come nel caso dell'intesa con la Turchia. Quantomeno “collaterale” il fatto che in questi 12 mesi si abbia raggiunto il numero record di vittime in mare, almeno 4800, tra cui le cinque persone annegate martedì 20 dicembre nelle acque tra Grecia e Turchia.


“Questo video è la testimonianza più diretta del vuoto di valori in atto nell’Unione europea, che ha fallito nei suoi elementi fondanti, ovvero il mettere l’essere umano, la sua vita, i suoi diritti al centro delle proprie politiche”, rimarca Zerai. “L’approccio è quello di concedere a pochi il privilegio di potersi realizzare, mentre molti altri vengono ‘scartati’, espressione che lo stesso papa Francesco usa di continuo, parlando di Cultura dello scarto che danneggia la società perché fa prevalere un ordine mondiale che alimenta le diseguaglianze anziché diminuirle, dove chi accumula da una parte, affama dall’altra”. Cosa può fare, allora, una società civile spesso ridotta al silenzio e, come nel caso delle navi delle ong nel Mediterraneo, messe addirittura sotto accusa? “Diffondere più solidarietà possibile, a tappeto e senza esitazioni. Bisogna andare contro la diffusione della guerra tra poveri, tutti uniti verso la ricerca di una giustizia sociale che oggi manca quasi del tutto”, risponde il candidato al Nobel 2015. “È un’azione dal basso, certo, che deve prendere con sé i disperati che scappano da guerre e privazioni, dando loro voce e non facendoli finire nelle mani di chi se ne approfitta, ma che deve anche portare l’opinione pubblica a non scaricare su profughi e immigrati la rabbia per i problemi sociali: dobbiamo essere tutti uniti, perché tutti vittime di un modello politico-economico insostenibile che genera guerre, squilibri e maggiore povertà”.

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