Politica

Matteo Renzi e la novità della ripetizione

Renzi è stato una “novità” della “ripetizione”. Per non azzerare questo suo margine estremo proprio in quanto minimo di novità, saprà riuscire a non farsi risucchiare dalla ripetizione di se stesso e del proprio sistema di appartenenza?

di Alberto Abruzzese

Paura di che?

Per alcuni, gli elettori del sì sono caduti vittime della paura, e cioè del salto nel vuoto di un voto di fiducia per il no. Una effettiva riflessione sui reali fattori di pericolo presenti nel voto per il no così come nel voto per il sì non mi pare ci sia stata. E neppure si è ragionato come si sarebbe dovuto sul significato da attribuire alla paura e al suo rapporto con la decisione politica personale. Semmai la paura è stata rigettata da ciascuno sulle spalle dell’altro (sui social questo cieco meccanismo di “scaricabarile” ha funzionato per i singoli con una violenza persino maggiore della propaganda politica sui media generalisti). E poi: paura di che? Perdita di status, di benessere, di guadagno? Perdita dell’illusione – speranza – di potere arrivare a uno status minimo di cittadinanza, di potere uscire dal malessere quotidiano, di potere riuscire a guadagnare per vivere?

Ma ci si può porre queste domande senza contare che nella singola persona esistono strati di coscienza in cui tutte queste opposte paure possono convivere? Paura di non avere accesso a uno status superiore, a una felicità più grande, a una ricchezza maggiore. Alla aperta sfrenatezza del desiderio invece che all’ambiguità e miseria del bisogno? Paura di un “finale di partita” per l’umanità? Infinite sfumature di paura, dunque, che non sono facilmente definibili da parte di chi in queste settimane sta analizzando il voto referendario a partire dai diversi “cartelli” entrati in lizza, diversi ma tutti convinti di rispondere alla propria complessa polifonia imponendo una decisione così tanto monolitica da essere in grado di creare mostruose identità a più “teste”. Che tutto questo sia avvenuto avendo per pretesto la scrittura della Costituzione è oltremodo significativo. Giuste o ingiuste che fossero le motivazioni e le critiche, i toni sono stati quelli della sacralità di un tabù. Della sua funzione prescrittiva, assai più forte del contenuto cui si riferisce.

Cervelli in fuga, pancia al voto?

Tra le infinite quanto emotivamente polarizzate considerazioni circolate sui risultati del referendum ce ne è una che ho trovato fuori dal branco: il voto del sì sarebbe stato “di pancia” come quello per il no. Viscerale, più ancora che ragionata e interessata, sarebbe stata dunque anche la fiducia data al governo renziano: quindi altrettanto viscerale, come s’è detto, del voto per il no espresso dalle maggioranze di popolo degli opposti populismi politici di centro, destra e sinistra (che della pancia hanno sempre fatto ragionato strumento di potere). Insomma: c’è stato un collettivo, comune, surplus di pancia e deficit di cervello (deficit di “buon senso”? In effetti questo è stato un piano di argomentazioni per la più parte rifiutato …). La paura – che si sa è un cortocircuito istintivo – ha prodotto nelle persone una condivisa – trasversale – incapacità di liberarsi dagli automatici effetti consci e inconsci della condizione presente del mondo, dei suoi luoghi, delle sue case, delle sue famiglie, affetti e negozi.

Il desiderio di sopravvivenza in sé e per sé ha indotto un forte incremento del rifiuto di capire la drammaticità non ordinaria (inedita: questa sì innovazione grande!) della crisi globale in cui il mondo sta precipitando. O magari – pur capendo l’eccezionale intensità di quanto è sotto il nostro sguardo, moltiplicato all’infinito da un prisma mediatico esponenziale – è la violenza stessa di questo comune desiderio di sopravvivenza ad averci impedito di trarne le dovute conseguenze cognitive. Per salvarsi le farfalle finiscono nel fuoco della lampada. Nella luce che acceca. Nella paura c’è anche questo nichilismo che non salva neppure più se stessi: il salto nel buio della “scommessa”, dell’azzardo, così in crescita dentro e fuori internet; forme di consumo – serialità e pornografia – assunte come “droghe”, come “uscite dal mondo”).

Desiderio di sopravvivenza delle persone e desiderio di sopravvivenza degli apparati e dispositivi che le governano. Siamo in questo “pandemonio”. Un connubio di attese, speranze e desideri per nulla armonico. Eppure si sa che, dalla dodecafonia in poi, una volta spezzata l’orchestrazione moderna tradizionale, sono state altre partiture a funzionare da armonie, per quanto assai più esclusive, spaesate e spaesanti rispetto all’ascolto consuetudinario. C’era dunque da aspettarsi che – avendo avuto qualche difficoltà ad esprimersi persino nell’immaginario dei media tradizionali in quanto ancora affascinati dalle loro grandi narrazioni – ad emergere dalla viva carne dell’abitare fosse una teoria dei conflitti non più della persona ma dentro la persona: teoria realizzata, disarmonica, inascoltabile, contraddittoria, senza più soggetti e narrazioni leggibili.

La fine del fondamento borghese

Renzi è stato una “novità” della “ripetizione”. Per non azzerare questo suo margine estremo proprio in quanto minimo di novità, saprà riuscire a non farsi risucchiare dalla ripetizione di se stesso e del proprio sistema di appartenenza? Del sistema al quale appartiene? Se si ragiona a partire dalla qualità tecnica della politica di sopravvivenza di Renzi rispetto alle altre politiche in campo, è del tutto evidente che anche la sua prospettiva sul mondo attuale manca – al pari di quelle – di contenuti adeguati. Renzi ha grande predisposizione al gioco di potere, ha istintiva vocazione per le tecnicalità che servono ai propri fini di affermazione personale.

Ma è immerso in una cultura politica che, dopo tre secoli di storia sociale, ha ormai perduto il proprio soggetto fondativo, il borghese, definitivamente estintosi con l’estinguersi dei ceti medi, così da ridursi per intero ad una logica esclusivamente strumentale. E allora questo impenitente giovane toscanaccio non ha alcuna vocazione per intuire, cercare e costruire i fini al servizio dei quali fare politica diversamente da tutti gli altri, amici e nemici, che lo circondano. Non ha dunque alcuna possibilità e capacità di interpretare i rapporti di potere così come sono realmente al di là delle loro rappresentazioni. Come si sono configurati nella loro sempre più netta, selvaggia, trasformazione da forme del capitalismo storico in forme del capitalismo finanziario. E’ qui che si dissolve l’idea umanista del soggetto moderno, idea secondo la quale è stato ed è il capitalismo e non l’umana natura a produrre disastro del vivente: evento, avvento, rivelazione di non poco peso sulle retoriche di cui ancora abbondano tutti i politici di mestiere, d’aspirazione o d’avventura.

Il tempo nuovo di Matteo Renzi

La globalizzazione non significa semplicemente una sconfitta delle credenze di riscatto politico nutrite dalla modernità e espresse nel passato geopolitico delle nazioni, delle classi, dei partiti e dei movimenti, ma è ora, e già da tempo, un mondo non più “nuovo” ma radicalmente “altro” (altrove: al di là della rivoluzione industriale e postindustriale). È dimensione reale, realizzata, di una volontà di potenza a ragione della quale il tempo di Renzi non può costituire un “tempo nuovo” ma soltanto un debolissimo, precario, disperato “prendere tempo”: una semplice deriva tattica, una tattica che ha fatto piazza pulita di ogni misura strategica, priva come essa è di qualsiasi filosofia del presente che non sia subalterna al passato e vuota di futuro. Quindi la realtà che ora si mostra dietro ogni finzione occidentale è tutto ciò che resta, è il tutto che resta, il rimanente: una realtà satura di mondo: cognizione che l’internet delle cose sembra favorire e di certo rende più visibile via via rimpiazzando il linguaggio umano.

Renzi – come tutte le figure di leader democratici del pianeta – è all’apice del fallimento delle strategie alternative di tipo storico. E’ all’apice e insieme in coda: tanto più in coda quanto più avanti, tanto più all’avanguardia quanto più in condizione di retroguardia. Al massimo di qualsiasi variante di compromesso politico, qualsiasi governo di compromesso. Qualsiasi governo impegnato a reggere un impatto sempre più drammatico con le proprie stesse regole, con i propri stessi valori.

A Renzi, rispetto ad altri nostri leader, è di questo – di questa sua consapevolezza (quale ne sia lo stimolo e la qualità) – che va reso merito: infante di una politica senza più sovranità. La qual cosa vuol significare che, per trovare una posizione effettivamente critica, teoricamente altra, dirimente, nei suoi confronti, bisognerebbe arrivare a sapere riconoscere nel quadro globale e locale di ogni attuale visione e azione di governo il vuoto di consapevolezza (o la tragica, delittuosa censura) della dissoluzione epocale che il sistema Mondo – e ad esso inevitabilmente connesso il sistema Italia – sta vivendo e pratica sulla pelle (cittadini, corpi sociali, strutture e apparati della civilizzazione, tecnologie e economie, governi) e sulla carne (sofferenza dell’essere umano, dolore e morte di popoli interi, infelicità e abuso) della vita quotidiana.

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