Non profit
Caro Babbo Natale, regalami un Paese serio
C´è chi chiede la luna, chi un motoscafo e chi un viaggio a Miami per figli e vacanze a Cortina per i nipoti. E chi, invece, non chiede nulla per sé. Chiede solo un Paese più serio, per continuare a fare, a dare, a sperare
Gentile sig. Natale Babbo, torno anche quest’anno da te, personaggio surreale come me, certo, ma quanto credere che tutte le ONLUS siano, in realtà, sempre e necessariamente organizzazioni non profit. Lo scorso anno ti feci una serie di richieste, tutte regolarmente disattese. Innanzitutto, ti chiesi finalmente meno precarietà; ma tu devi aver capito male, visto che mi hai regalato una stabile assenza di lavoro!
Capisco, però, che chiedere meno precarietà ad uno come te che, al massimo, lavora un mese all’anno, ti sarà sembrato fuori luogo. Comunque mi hai fatto imparare delle cose nuove. Ad esempio, che esistono organizzazioni che dicono di lottare contro la povertà e che sono così brave a farlo che, prima di combatterla, la povertà addirittura la creano. Oppure che parlano all’esterno di partecipazione e democrazia ma al loro interno, se alzi la mano per dire la tua, te la troncano di netto.Quest’anno, allora, ho deciso di chiederti qualcosa di meno personale, che riguardi tutti: un Paese più serio. Un unico grande pacco regalo, con al suo interno tanti pacchi più piccoli.
Il primo lo chiamiamo “pacco della politica”. Vorrei che quando la politica parla delle persone in difficoltà non si riferisca solo a chi ha problemi a parcheggiare lo yacht. Vorrei che chi parla di responsabilità sia responsabile, chi parla di trasparenza sia trasparente, chi parla di sacrifici dia sempre il buon esempio. Vorrei che chi dice che i voucher sono una buona cosa, presenti anche una legge per pagare i parlamentari, appunto, in voucher. Non dirmi che è demagogia, si chiama coerenza. E, infine, vorrei che la politica tornasse ad essere un luogo di partecipazione e di condivisione di ideali, uno strumento di soluzione dei problemi, non di mera gestione del potere. Vabbè, ti sto chiedendo troppo, faccio prima a trasferirmi in Islanda.
Il secondo lo chiamiamo “pacco dei media”. Vorrei che giornali e TV fossero più attenti alle parole. Ad esempio che non usassero continuamente la parola emergenza, anche quando si riferisce a cose che si trascinano da anni; come per l’immigrazione, o il dissesto del territorio. Vorrei che rinunciassero almeno ad un servizio sul matrimonio di qualche vip (che poi, la settimana successiva, ci tocca pure il servizio sul suo rapido divorzio) per farci sapere, ad esempio, cosa succede in Libia, o in Gambia, insomma in giro per il mondo. Vorrei che finisse la nuova moda delle trasmissioni in cui un giornalista intervista un altro giornalista; se hanno così tante cose da dirsi, si telefonino ogni tanto! E vorrei che nelle cosiddette trasmissioni di approfondimento fossero invitate persone che il tema di cui si parla lo vivono, facce e voci nuove e originali, invece del solito teatrino politicocontro-politicopro-giornalistafilox-giornalistafiloy e l’immancabile rappresentante della grande corporation Facciamodelbene S.p.A. di turno. Anche qui immagino di aver esagerato. Per fortuna esistono le parabole, per sintonizzarsi sulle TV estere. Ecco, regalami una parabola allora. E non dimenticare il decoder!
Siamo il Paese col più grande patrimonio artistico-culturale al mondo, ma poi siamo uno degli ultimi in UE per livello di istruzione, per spesa in cultura ed per spesa per l’istruzione. Di cosa ci meravigliamo, allora, se in Italia ci sono più negozi di occhiali per le piante che librerie? E che, se vai in un’edicola, è più facile comprare un aspirapolvere che un giornale? Ecco, regala almeno un libro ad ogni italiano.
Il terzo lo chiamiamo “pacco della cultura”. Siamo il Paese col più grande patrimonio artistico-culturale al mondo, ma poi siamo uno degli ultimi in UE per livello di istruzione, per spesa in cultura ed per spesa per l’istruzione. Di cosa ci meravigliamo, allora, se in Italia ci sono più negozi di occhiali per le piante che librerie? E che, se vai in un’edicola, è più facile comprare un aspirapolvere che un giornale? Ecco, regala almeno un libro ad ogni italiano. Sceglili tu, informati, cerca opere davvero belle, interessanti e originali. E lascia stare le recensioni ufficiali (che ormai sembrano uffici marketing della grande editoria), i premi letterari famosi (dove, guarda caso, il premio va sempre ai libri della solita grande editoria), e le definizioni tipo “il nuovo capolavoro di XY” che vengono lanciate prima ancora che il libro in questione sia stato persino scritto.
Tanto hai almeno 11 mesi di tempo all’anno in cui non hai nulla da fare. Anzi, spendine la metà per leggere e scegliere e l’altra metà per costringere le persone a leggere il libro che gli hai regalato. Se non lo fanno, minaccia di regalargli, al prossimo Natale, tutti i CD di Albano e Romina. O forse no, sono abbastanza sicuro che potrebbero piacergli. Meglio se li minacci di regalargliene due di libri. P.S. Se mi regali l’ultimo libro di Bruno Vespa, o capolavori simili, giuro che vengo in Lapponia e ti incendio casa.
Il quarto, l’ultimo ma non meno importante, lo chiamiamo “pacco del terzo settore”.
Veniamo da un anno difficile. Gli strascichi di Mafia Capitale, ed un’opinione pubblica che ora si fida molto meno di noi. La colpa è nostra, sia chiaro. Non abbiamo parlato quando potevamo farlo, non abbiamo fatto pulizia al nostro interno quando dovevamo, non abbiamo mai spezzato davvero il cordone ombelicale con partiti e politici vari. Ma chi ne ha pagato il prezzo non sono stati i veri responsabili; sono state le persone più deboli della società, e tra queste anche noi operatori sociali, penultimi tra gli ultimi. Ma forse qui puoi fare davvero poco. Ci vorrebbe molto più di un pacco regalo, e molto più del tempo che hai a disposizione. Abbiamo bisogno di coraggio per cambiare le cose e di metterci all’opera per farlo. Partendo dal basso, da chi ci lavora davvero in questo settore, dai tantissimi operatori, con la loro passione ed i loro sacrifici. Ecco, ho trovato: regalaci un paio di maniche da rimboccarci.
Grazie, tuo
Marco Eliah
In copertina: immagine di Tiziana Fabi/Afp/Getty Images
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