Welfare
Caos Ilva, Marescotti (PeaceLink): «Si riparta dalla coesione sociale»
ArcelorMittal ha annunciato la rinuncia all'affitto dell'acciaieria e la riconsegna delle chiavi al Governo. «La situazione è grave. C'è il grosso rischio che non si trovi un'alternativa. Ora sindacati, politica e società civile si devono sedere a un tavolo per uscire dal labirinto Ilva», sottolinea il presidente dell'associazione di volontariato tarantina. L'intervista
La decisione della società indo-francese ArcelorMittal di lasciare l’acciaieria ILVA di Taranto, comunicata ieri, era attesa. Almeno da Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, che da dodici mesi sottolinea come l'Ilva sia economicamente insostenibile. La domanda che tutti si fanno oggi è come finirà questa vicenda e di chi sia la responsabilità. Ci sarà maggiore chiarezza probabilmente dopo mercoledì, quando i dirigenti dell’azienda si incontreranno a Roma con il governo per decidere le sorti della più grande acciaieria d’Europa, che impiega 10.700 operai, di cui 8.200 nello stabilimento di Taranto e che produce ogni anno acciaio per 24 miliardi di euro. Nel frattempo ne abbiamo parlato con Marescotti.
Con la scelta annunciata da ArcelorMittal che scenari si aprono?
Bisognerà trovare un'altra realtà economica che si faccia carico dell'Ilva con tutti i suoi problemi. Ma bisogna dire anche che ArcelorMittal è il più grande attore e del mercato mondiale. Il fatto che una realtà del genere getti la spugna fa presagire che non sarà facile trovare un sostituto
La ArcelorMittal spiega il passo indietro con delle perdite. È plausibile che un colosso del genere faccia un errore di valutazione del genere?
Probabilmente a fronte di queste perdite ha potuto acquisire un vantaggio strategico. Oggi hanno in mano tutto il portafoglio clienti dell'Ilva
Siamo all'ennesimo colpo di scena della vicenda legata all'acciaieria tarantina. Quali sono i problemi dell'Ilva?
Il fatto è che circa l'Ilva esistono tanti e tali problemi non risolti che questa vicenda somiglia a un grande labirinto. Esistono quattro ordini di problemi. Il primo è economico. Ilva per il suo gigantismo, è il più grande polo siderurgico europeo e ha il più alto camino europeo. l'E 312, che ha una portata potenziale da produrre diossina equivalente a quella delle industrie del Regno Unito, Svezia, Austria e Spagna messe insieme. Questo fa capire le dimensioni della fabbrica. Che riusciva a produrre profitti se viaggiava su livelli produttivi di 9-10 milioni di tonnellate di acciaio. Per il pareggio bisognerebbe raggiungere il livello di 7-8 milioni di tonnellate. Il che è oggi impossibile per diversi motivi: il primo è che l'alto forno più importante, il numero 5, è spento. Ed è spento perché sul mercato non c'è più quella domanda. Oggi la produzione si attesta sulle 4,7 milioni di tonnellate. Ecco che tutti gli attori intervenuti hanno dovuto accollarsi perdite di esercizio insostenibili
Questo è un problema economico. Gli altri tre?
C'è la questione penale e dello scudo. Si tratta della norma che consente di produrre e non essere sottoposti a inchieste e processi nel caso in cui producendo con impianti fuori norma venissero prodotti danni ambientali e sanitari o delle vittime. Attualmente dal punto di vista penale gli impianti dell'area a caldo sono sotto sequestro.In questo momento manca lo scudo. Infine ci sono il tema ambientale e sanitari
Danni ambientali e sanitari che sono strettamente correlati…
Assolutamente. È da sottolineare che, per quanto riguarda il rischio sanitario, ci sono due valutazione del danno sanitario che lo attestano. La prima fatta dalla Regione Puglia che ha preso in esame la produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio ha dato responso “rischio inaccettabile”. La seconda invece, più recente, a 4,7 milioni di tonnellate di acciaio il risultato è stato lo stesso. E qui succede qualcosa di grottesco: a Taranto si è sempre detto che la scelta fosse tra la salute e il lavoro. Ma se il rischio è inaccettabile anche con una produzione di 4,7 milioni significa negare la salute ma anche i guadagni.
Che piani alternativi alla possibilità di trovare un altro acquirente ci sono?
Di fronte a questo labirinto di problemi che stavo descrivendo soluzioni semplici non esistono. La prima cosa da fare è quella che diceva Calvino: per uscire da un labirinto serve fare una mappa. Bisogna mettere in campo le migliori energie di carattere scientifico, tecnico, strategico, economico e andare a visitare nel mondo dove si sono verificati casi di crisi industriale simili per scoprire come sono state risolte. Ci sono molti casi di azioni coraggiosi di riconversione che dovremmo studiare.
La riconversione non è quindi una soluzione fantasiosa. È una via credibile e possibile?
Se qualcuno la propone in forma semplificata viene ovviamente derisa e sbeffeggiata. Se ne parla Beppe Grillo sul suo Blog è chiaro che non verrà presa sul serio. Nessun cardiopatico si farebbe operare su consiglio di Beppe Grillo. C'è bisogno che certe proposte le facciano e le spieghino tecnici competenti e credibili
Però nel mondo ci sono stati processi del genere?
Bè sì. Uno molto famoso è quello della Ruhr. Ma è un tema strettamente politico. In Germania tutte le forze politiche hanno collaborato con lo stesso obiettivo. Qui invece non succede. Qui abbiamo tre chirurghi, Conte, Di Maio e Zingaretti, che invece di operare in sinergia litigano mentre il paziente muore. Qui a Taranto si è sempre solo usato il disagio del lavoratori per fare campagna elettorale. La differenza la fa la coesione sociale che qui latita mentre in Germania era molto forte.
Se i chirurghi della politica litigano, per usare una metafora di Papa Francesco, rimane l'ospedale da campo del sociale. Come pensate di tenere botta?
La prima cosa che faremo sarà proporre la visione di un film su ArcelorMittal del regista francese Jérôme Fritel che si intitola “Mittal, il volto nascosto dell'impero” e ne discuteremo con Édouard Martin, che è stato operaio e sindacalista e icona della lotta operai nei siti Mittal in Francia. La cosa impressionante è che il film racconta esattamente quello che è successo a Taranto. Perché è il loro modus operandi. Crediamo che la coscienza e la conoscenza siano sostanziali in questo momento. Abbiamo bisogno di conoscere i problemi.
Ma se era così alla luce del sole, tanto da esserci anche un film a riguardo, perché i sindacati non hanno detto nulla?
Perché qui i sindacati tendono a scambiare i propri desideri con la realtà. Parlano di piena occupazione, di conciliazione ambiente-lavoro. Tutte cose che la realtà non permette. Vogliono volare anche se non c'è l'aereo. Esprimono desideri facendoli apparire come realtà senza tuttavia individuare i mezzi per realizzarli. I sindacati a Taranto hanno abolito l'economia come se vivessimo in Unione Sovietica in cui alla fine è sempre lo Stato che risolve i problemi. Tutto questo non ha creato strategie ma illusioni.
La politica litiga, i sindacati sognano. Che si fa?
La società civile cercherà di creare quell'unità della comunità dei tarantini quella coesione sociale necessaria per sedersi tutti insieme intorno al tavolo per trovare una soluzione. I guelfi e i ghibellini hanno distrutto Firenze. E potrebbero distruggere Taranto. Rinfacciarsi ora le colpe non ha senso ed è inutile. Dobbiamo lavorare tutti insieme per il bene della città. Non sarà facile perché i tarantini non ritengono questi interlocutori credibili. ma noi confidiamo ci siano persone di buona volontà e competenti nella classe dirigente. Lo so che è difficile ma non c'è un'altra strada. Se fino ad oggi si è percorso una strada sbagliata non si più continuare a sbagliare. Sull'Ilva si è fatto per anni come i calabroni che per uscire dalla stanza continua a sbattere contro il vetro. Qui il calabrone ha sbattuto dodici volte, con dodici decreti. È opra di aprire la finestra.
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