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I due giorni che cambieranno volto all’Europa

Hollande ha annunciato che non si ricandiderà alle presidenziali del prossimo aprile. Domani, in Austria, 6 milioni di cittadini saranno chiamati alle urne e il candidato di destra dato per favorito ha annunciato di voler indire una consultazione per uscire dall'Unione Europea. In Italia si vota per il referendum. Visto lo scenario europeo che si designa, può essere l'ultima occasione per vedere ancora in piedi un barlume di socialdemocrazia non a trazione tedesca

di Marco Dotti

Nessun Presidente l'aveva mai fatto. Nessun presidente in carica, nella storia della V Repubblica, aveva rinunciato a ricandidarsi per ragioni che non fossero di salute. Ma François Hollande, giunto al termine di un disastroso quinquennio, ha deciso di lasciare. I sondaggi lo davano al 7% e, vista la situazione dove le destre neoxenofobe e neopopuliste sembrano in ascesa, ha deciso di togliersi subito da uno scontro che sarebbe stato fratricida per il fronte della sinistra europeista e liberal. Oggi, Hollande è un presidente pro tempore, in carica fino alle elezioni del prossimo aprile. Di fatto, se non viene meno il suo peso istituzionale, quello politico ne risulta largamente depotenziato. In un'Europa che ancora non ha capito come reagire al colpo della Brexit e cosa accadrà sul medio, lungo termine è un ulteriore colpo difficile da incassare.

Diversamente da Hollande, Angela Merkel non è tipo da farsi scoraggiare dai sondaggi. Anzi, il 20 novembre scorso ha pubblicamente annunciato la sua ricandidatura. E sarà la quarta, stavolta per le elezioni federali del prossimo settembre, dove tenterà – parole sue – di «tenere unito il Paese». E l'Europa, in assenza di contrappesi adeguati, si aggregherà in conseguenza degli interessi tedeschi. Dovesse cedere anche Matteo Renzi, che ne sarà del fronte europeista? Ricadrà tutto sulle spalle di Angela Merkel e avremo, dunque, ancora per un po', un'Europa a ideale trazione tedesca, con il piano franco-mediterraneo ampiamente sottorappresentato? Torneremo all'epoca dei PIGS, come certi americani sprezzantemente chiamavano Portogallo, Italia, Grecia e Spagna?
Domani si vota per il "sì" o per il "no" al Referendum costituzionale che in troppi hanno voluto ridurre e banalizzare a un plebiscito personalistico. Ma in gioco c'è veramente tanto, anche per il destino dell'Europa. Ancor di più se consideriamo che proprio domani si ripetono le elezioni presidenziali in Austria.



Annullate dopo il voto dello scorso 22 maggio, per un ricorso di Norbert Hofer, domani più di 6 milioni di austriaci torneranno al voto per scegliere lui o il verde europeista Alexander Van der Bellen. E non sarà un voto "leggero". In ballo, infatti, ci sono due diverse visioni dell'Europa e dei suoi temi strategici, dalle frontiere all'immigrazione, con ricadute che il nostro Paese dovrà subire o condividere prima di tutti. Vincesse, come sembra, Norbert Hofer, leader del partito nazionalista di destra Fpö già di Jörg Haider, la questione migranti, per l'Italia, potrebbe assumere toni imprevisti. Qualora si aprisse, poi, per il nostro Paese un periodo di instabilità politica – consultazioni, tentativi di comporre probabili o improbabili maggioranze di governo, in un periodo fragile anche dal punto di vista dei bilanci e della stabilità finanziaria – le cose potrebbero davvero precipitare. Anche perché Hofer ha già annunciato un referendum per l'uscita dell'Austria dall'Unione Europea.

Piaccia o meno, questi saranno giorni davvero cruciali per l'Europa, soprattutto per l'Europa mediterranea (Spagna, Grecia, Portogallo), quella più esposta alla crisi di sistema e, al tempo stesso, quella che ha nell'Italia la sua unica leadership politica piena. Resisterà questa leadership conquistata a fatica o si dovrà ricominciare tutto da zero, ammesso sia possibile ricominciare? L'effetto domino è pronto a innescare conseguenze inattese.

Aggiornamento, h 18 (domenica 4 dicembre): Alexander Van der Bellen è il nuovo presidente austriaco

In copertina: immagine di Sean Gallup/Getty Images

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