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Oxfam: «Basta accordi con la Libia dei lager»
A pochi giorni dalla scadenza per il rinnovo tacito dell’accordo tra Italia e Libia, appello urgente per la sua revoca e la cancellazione delle missioni italiane in Libia. Ancora decine di migliaia i migranti in trappola sotto le bombe nei lager libici. Dall’Italia oltre 150 milioni di euro dal 2017 per finanziare la formazione della Guardia Costiera e del personale impiegato nei centri di detenzione in Libia. A 2 anni dal naufragio del 6 novembre 2017, in cui persero la vita 50 migranti, l’Italia rischia adesso una condanna per violazione della Convenzione dei Diritti Umani. Oxfam stila una memoria come parte informata dei fatti
di Redazione
A pochi giorni dall’ultima data utile per la revoca – il prossimo 3 novembre – Oxfam chiede al Governo di non rinnovare l'accordo Italia-Libia, mettendo la parola fine a una delle pagine più tristi e vergognose della nostra storia recente. L'accordo peraltro non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano contrariamente a quanto previsto in Costituzione (ex.art.80).
Ci sono quasi 5 mila migranti nei “lager” ufficiali, decine di migliaia in mano alle organizzazioni criminali sotto le bombe.
«Come organizzazione, impegnata da anni nell’accoglienza dei richiedenti asilo, abbiamo raccolto testimonianze terribili di torture, stupri, omicidi avvenuti nei campi di detenzione libici. L’accordo che il nostro governo ha firmato con la Libia a febbraio 2017 ha di fatto consentito queste violazioni indicibili e non dovrebbe dunque essere tacitamente rinnovato» – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia.
«Al momento nei centri di detenzione ufficiali sono rinchiuse oltre 4.500 persone secondo l’UNHCR (1), mentre in quelli non ufficiali, gestiti dalle organizzazioni criminali, ne sono stimati a decine di migliaia. Uomini, donne e bambini che non solo subiscono trattamenti inumani e degradanti, ma rischiano di morire sotto le bombe in un paese in guerra. Un orrore a cui bisogna porre fine con un Piano di evacuazione coordinato dalle Nazioni Unite, che preveda una ridistribuzione dei migranti a livello europeo. E’ inoltre urgente una seria azione di monitoraggio e inchiesta di quanto successo fin qui, attraverso l’istituzione di una Commissione parlamentare».
I finanziamenti delle missioni militari in Libia sono cresciuti anno per anno
Ignorando le condizioni disumane dei migranti in Libia, i Governi italiani che si sono succeduti dopo la firma dell’accordo hanno continuato a finanziare interventi in Libia, come la formazione di personale locale nei centri di detenzione ufficiali o la fornitura di mezzi terrestri e navali alla Guardia costiera e alle autorità libiche, per un costo di oltre 150 milioni di euro, cresciuto di anno in anno: circa 43,5 di euro nel 2017, più di 51 milioni nel 2018 e oltre 56 milioni nel 2019.
«I soldi spesi dai Governi Gentiloni e Conte sono serviti a finanziare la Guardia costiera libica che, come denunciato dalle Nazioni unite, impiega alcuni dei più pericolosi trafficanti di esseri umani. – ha aggiunto Pezzati – Mentre non sono serviti a porre fine alle morti in mare e al traffico di esseri umani. Nel 2019, 692 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale con un tasso di mortalità sui tentativi di traversata balzato al 3,5% dal 2,1% del 2017(2). Per questo chiediamo al Governo di non rinnovare l’accordo Italia-Libia e non rifinanziare le missioni militari in Libia, superando le divisioni su un tema che richiama essenzialmente il rispetto dei diritti umani sancito dalla nostra Costituzione. Pensiamo sia gravissimo che il M5S si sia astenuto al Parlamento europeo sul rafforzamento delle attività di salvataggio in mare, mentre temiamo che il PD, dopo essersi astenuto sul rinnovo delle missioni militari a giugno scorso, possa fare adesso passi indietro. Nel quadro attuale, riteniamo inoltre prioritario che il Governo riveda quanto prima i Decreti sicurezza e si faccia promotore per una missione navale di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo a livello europeo».
Intanto l’Italia rischia adesso una condanna per violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, a due anni dal naufragio che nella notte tra il 5 e il 6 novembre 2017 causò la morte di oltre 50 migranti in acque internazionali. Il tutto a seguito del ricorso alla Corte europea dei diritti umani presentato da 17 cittadini originari di Nigeria e Gambia, alcuni dei quali videro annegare i propri figli. Un tragico naufragio di un barcone con 150 disperati a bordo, da cui emergerebbero precise responsabilità da parte della autorità sia libiche che italiane. Dalla ricostruzione dei fatti presentata alla Corte (che è consultabile QUI), vi sono accuse rivolte alla Guardia Costiere libica: per non aver fornito dotazioni di sicurezza alle persone finite in mare, per minacce a mano armata e percosse e per violenze esercitate nei centri di detenzione, dove parte dei sopravvissuti fu riportata.
«All’Italia viene invece contestata la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che riguardano da una parte l’esposizione a tortura, trattamenti inumani e schiavitù dei migranti e dall’altra il non rispetto della libertà di circolazione e del divieto di espulsioni collettive – conclude Pezzati – In particolare si contesta all'Italia di non poter non essere, all’epoca dei fatti, già a conoscenza delle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate in Libia verso i naufraghi riportati nei centri di detenzione ufficiali. Nel procedimento Oxfam interverrà con un documento che – in base alle testimonianze raccolte dai migranti sbarcati in Sicilia e ad una ricostruzione dei fatti prima e dopo il naufragio – dimostra precise responsabilità delle autorità italiane nell’avere esposto le persone riportate indietro dalla Guardia costiera libica al rischio di subire torture e trattamenti inumani».
Foto: ©Pablo Tosco
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