Sostenibilità

Tommasi contro lavoro minorile

Il capitano della Roma firma una petizione rivolta alla Fifa perchè tutte le squadre giochino con palloni "puliti"

di Redazione

Campione del calcio e campione della solidarietà: Damiano Tommasi, oggi come quattro anni fa quando era diventato testimonial del pallone senza lavoro minorile garantito dal marchio TransFair, continua a battersi perché anche le società sportive riconoscano le proprie responsabilità nell’importazione di attrezzatura dal Sudest Asiatico. Proprio per questo ha firmato da Coverciano, poco prima della sua partenza per i Mondiali, la petizione rivolta alla Fifa che era oggetto della campagna Global March contro lo sfruttamento del lavoro minorile: come altre migliaia di persone che hanno sottoscritto l’appello promosso da Mani Tese, Tommasi ha chiesto alla più importante organizzazione internazionale che vigili affinché nessun bambino sia coinvolto nella lavorazione di articoli sportivi e che gli adulti siano retribuiti secondo un salario dignitoso e a condizioni che rispettino i diritti sindacali. “Credo che i mondiali rappresentino un’opportunità per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica: spero che le persone possano rendersi conto dell’importanza di conoscere la provenienza dei prodotti sportivi e che questi campionati non si trasformino solamente in una vetrina per le grandi marche”. Tommasi aveva cominciato ad impegnarsi in questo settore nel 1998 quando, grazie all’impatto dei Mondiali di Francia, il mondo occidentale si era accorto che il pallone, strumento di gioco e di divertimento per eccellenza, era cucito anche da lavoratori bambini del Pakistan. Oggi, alle porte dei mondiali di Corea e Giappone, il problema continua a rimanere di scottante attualità e continua a toccare gli interessi di un’industria che rilancia 70 milioni di pezzi ogni anno, per un valore complessivo di 1800 miliardi di lire. Ogni pallone costa al consumatore 80 dollari, ma all’azienda che lo commercializza solo 7,5 e il cucitore riesce a guadagnare solo mezzo dollaro per ogni pezzo finito. A questa situazione hanno reagito le organizzazioni non governative e umanitarie che lavorano nella regione e TransFair Italia, marchio di garanzia di Commercio Equo e Solidale: fin dall’inizio il tentativo è stato quello di cercare di aumentare il salario dei lavoratori adulti e inserire nel processo produttivo anche le donne. In tre anni sono stati importati a condizioni eque 450 mila palloni.


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