Politica

Firmato il decreto attuativo: il dopo di noi diventa concreto

Puntale e dettagliato, il decreto attuativo per la legge 112/2016 sul dopo di noi individua in maniera stringente le priorità: progetti più che strutture. Fissa a un massimo di 5 le persone che potranno essere accolte nelle nuove case. I ricoveri in strutture che non rispondono a queste caratteristiche? Solo a tempo.

di Sara De Carli

La legge sul ‘Dopo di noi’ diventa concretamente operativa. Dopo l’intesa raggiunta il 10 novembre in Conferenza Unificata, i ministri Poletti, Lorenzin e Padoan hanno infatti firmato il decreto attuativo che fissa i requisiti per l’accesso al Fondo istituito dalla legge: 90 milioni di euro per il 2016. Il decreto contiene diverse novità e sottolineature, che rendono ancora più esplicito e stringente l’obiettivo della legge: non fare nuove strutture, ma accompagnare le persone. Per Roberto Speziale, presidente di Anffas, che tanto ha contribuito a portare esperienze e riflessioni dentro questa legge, «oggi la legge 112 e il suo decreto attuativo è quanto di più innovativo c’è in Italia, a sistema, in chiave di Convenzione Onu». Ma andiamo con ordine fra i sei articoli del decreto (in allegato).

Art. 1 – le definizioni
Puntuali, con esplicito riferimento al “durante noi”. La legge infatti – si chiarisce – non è solo per le persone con disabilità grave senza più genitori ma anche per quelle i cui genitori «non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale» nonché «in vista del venir meno del sostegno genitoriale». Viene esplicitato il legame con il progetto personalizzato della legge 328 e – novità assoluta – introdotto il “budget di progetto” (vedi sotto).

Art.2 – valutazione multidimensionale e budget di progetto
Agli interventi finanziati dal Fondo, le persone con disabilità grave prive del sostegno famigliare (come definite sopra) accedono «previa valutazione multidimensionale, effettuata da equipe multiprofessionali […] secondo i principi della valutazione bio-psico-sociale e in coerenza con il sistema di classificazione ICF». Questa valutazione è finalizzata alla definizione di un progetto personalizzato, che contiene – è la prima volta che viene citato – il «budget di progetto», ovvero «l’insieme di tutte le risorse umane, economiche, strumentali, da poter utilizzare in maniera flessibile, dinamica e integrata». Il progetto personalizzato è definito assicurando «la più ampia partecipazione possibile della persona con disabilità grave, tenendo conto dei suoi desideri, aspettative e preferenze e prevedendo il suo coinvolgimento pieno nel successivo monitoraggio e valutazione». Sono tutte novità, dal momento – spiega Speziale – che «il sistema attuale fa una valutazione parcellizzata, abbiamo quasi sempre dei PAI segmentati, qui invece siamo dentro un progetto di vita e una volta individuato il progetto di vita la residenzialità e soluzione abitativa diventano coerenti con esso e con la valutazione della persona. Per la prima volta si parla di budget progetto, significa che non ragioniamo più in termini di rette e posti letto ma di progetto di vita: il budget di progetto garantisce le risorse economiche a ciascuno per potersi costruire “il vestito su misura”, questo è di portata assolutamente innovativa perché non c’è da nessun’altra parte, il decreto attuativo della legge 112/2016 ha anticipato quella proposta che abbiamo costruito in seno all’Osservatorio sulla disabilità e inserito nel nuovo Programma biennale d’azione (ne abbiamo parlato qui), immaginando il budget di progetto come lo strumento futuro, che si dovrebbe allargare all’intero sistema. Ha anticipato i tempi. In questo senso la legge diventa quando di più innovativo c’è, a sistema».

Art. 3 – interventi e servizi
Cosa potrà finanziare questo fondo? Quali interventi e servizi? Sembrava un punto un po’ vago nella legge, ma ora il decreto attuativo sceglie di essere estremamente dettagliato. Lo fa nei sette commi dell’articolo 3, con un fortissimo rimando alla Convenzione Onu, all’autodeterminazione delle persone con disabilità e al sostegno da dare loro nel prendere decisioni e nei sette dell’articolo 5. Si afferma che con il fondo possono essere finanziati percorsi di accompagnamento per l’uscita dal nucleo familiare di origine o per la deistituzionalizzazione, interventi di supporto alla domiciliarità in soluzioni alloggiative dalle caratteristiche ben descritte, programmi di accrescimento della consapevolezza e di abilitazione per la gestione della vita quotidiana. Prioritariamente quindi si citano percorsi, non muri e strutture, benché resti tuttavia la possibilità di utilizzare risorse del fondo anche a interventi per la realizzazione di soluzioni alloggiative innovative, ma con caratteristiche precise (vedi sotto) e «in via residuale» per interventi di permanenza temporanea in una struttura extra-familiare, anche qui con paletti abbastanza precisi. Nell’ottica della priorità dei percorsi sui muri, si afferma anche che gli interventi del decreto presente non rispondono solo ai bisogni abitativi, in una logica a scomparti: questi interventi devono inserirsi in un contesto di sviluppo delle competenze verso l’autonomia e la promozione dell’inclusione sociale, motivo per cui i progetti personalizzati «sono condivisi con i competenti servizi per il collocamento mirato».
Continua Speziale: «Per noi era molto importante legare l’intervento più ancora di quanto facesse la legge al progetto individuale e al budget di progetto, non si tratta di fare strutture ma progetti. Il decreto centra perfettamente questo obiettivo. Le priorità sono interessanti, la deistituzionalizzazione è citata esplicitamente, così come il ruolo principale e attivo della persona e della famiglia. Un dettaglio che non deve sfuggire, che è un po’ il cuore innovativo, è la possibilità che le soluzioni abitative che si andranno a realizzare non siano un condensato di tutte e sole persone ultracinquantenni con disabilità grave, ma al contrario che ci possono essere persone con una disabilità grave insieme a persone con disabilità non grave e anche a persone senza disabilità: questo è il co-housing di cui parla l’articolo 3 comma 4». Il presidente di Anffas cita a tal proposito una sperimentazione innovativa realizzata in provincia di Trento, con una famiglia di origine immigrata ma molto integrata ospita due persone con disabilità, offrendo loro i necessari supporti (qualcosa di analogo, sul fronte malattia mentale, è stato sperimentato anche qui).

Art. 3 comma 4 – le soluzione alloggiative
Sei i paletti per descrivere le caratteristiche delle soluzioni alloggiative per il dopo di noi, oggetto della legge, oltre alla precondizione già presente nella legge del riprodurre «le condizioni abitative e relazionali della casa familiare». Eccole: potranno viverci non più di 5 persone (anzi, «4 più un posto per le emergenze e/o il sollievo», precisa Speziale), con una scelta di mettere nero su bianco una dimensione per le strutture che nella legge non c’era; complessivamente non ci potranno essere nello stesso contesto più di due moduli abitativi di 5 (cioè ancora una volta non più di dieci persone al massimo, di cui due per emergenza e/o sollievo, «ma non nella logica 8 + 2, bensì con due moduli fra loro funzionali di 4 + 1», chiosa ancora Speziale»; le persone potranno portarsi mobili propri, le camere dovranno essere preferibilmente singole, dovrà essere promossa la domotica, non dovranno essere in contesti isolati ma «in zone residenziali» e se rurali solo «all’interno di progetti di agricoltura sociale». Dovranno essere «aperte alle comunità di riferimento e permettere la continuità affettiva e relazionale degli ospiti». Infine, «non sono previsti in via generale requisiti strutturali»: saranno normali abitazioni civili.

Art. 3 comma 7 – l’emergenza
Questo articolo, insieme alla lettera e) comma 4 dell’articolo 5, affronta il tema della permanenza temporanea in strutture con caratteristiche diverse da quelle qui definite: per alcuni è il punto più fragile e ancora pericolosamente ambiguo della legge. «In situazioni di emergenza» e in particolare quando «i genitori non sono temporaneamente nelle condizioni di fornire alla persona con disabilità grave i sostegni genitoriali necessari ad una vita dignitosa» (non si parla più di assistenza) e dove «non è possibile ovviare ai medesimi con servizi di assistenza domiciliare che permettano la permanenza della persona con disabilità grave al proprio domicilio», ecco che il fondo può finanziare la «permanenza temporanea in strutture dalle caratteristiche diverse da quelle definite al comma 4», a condizione che questa soluzione sia «nel superiore interesse» della persona disabilità, che siamo indicati i tempi del rientro in famiglia, cessata l’emergenza e che sia comunque rispettata la volontà della persona. Alle preoccupazioni di alcuni genitori, Roberto Speziale risponde così: «Non abbiamo risolto tutti i problemi e non è la legge dei sogni, ma nel contesto e tenendo conto del punto di partenza, abbiamo ottenuto dei risultati. La legge consente la permanenza a domicilio, ma ancora una volta con un progetto personalizzato, e per la volta parla di deistituzionalizzazione. Indica una direzione precisa, ma non è la legge sulla deistituzionalizzazione, questo è chiaro. Stiamo iniziando a lavorare per arrivare a una “180 della disabilità”, ma è importante farlo senza ripetere gli errori della 180. Questa è ancora una legge che interviene sull’emergenza, ma che introduce una discontinuità con quanto è sempre stato fatto, è stata scitta una pagina importante che crea un precedente che orienterà un po’ tutto». Anche Elena Carnevali, deputata Pd già relatrice della legge alla Camera, afferma che «la legge che ora diventa operativa aiuterà a sostenere progetti di natura sperimentale e anche ad avviare un percorso, che sappiamo lungo, per invertire quella tendenza tutta italiana a considerare le grandi strutture da oltre 30 posti come unica risposta per il dopo di noi. La nostra logica è stata quella di ampliare la possibilità di scelta, in linea con l’articolo 19 della Convenzione Onu. Nessuno pensa che il cohousing possa essere la risposta per tutte le persone con disabilità, ma la prima platea a cui si rivolge la legge sono le persone con una disabilità intellettiva e relazionale, fino ad oggi forse tra i più trascurati».

Art 4 – le priorità
L’accesso alle misure del fondo è garantito in via prioritaria a quanti ne «necessitano con maggiore urgenza», tenendo conto cioè delle limitazioni dell’autonomia, dei sostegni che la famiglia è in grado di dare, delle condizioni economiche e abitative e ambientali. Tre categorie di persone avranno la priorità: chi manca di entrambi i genitori ed è del tutto privo di risorse economiche proprie, che non siano i trattamenti percepiti in ragione della disabilità stessa; chi ha genitori che per età o loro stessa condizione di disabilità non possono più garantire nel futuro prossimo il sostegno genitoriale necessario; le persone con disabilità gravi inserite in strutture residenziali dalle «caratteristiche molto lontane da quelle della casa familiare». Il focus prioritario sulla gravità è un tratto distintivo della legge: «È un po’ un paradosso, perché le persone che non hanno una grave disabilità potrebbero avere più opportunità di vita indipendente, è vero, ma è anche vero che altre norme e lo stesso fondo per la non autosufficienza già consentono di sostenere in parte questi progetti, l’urgenza era proprio pensare ai più gravi», spiega Speziale: «In futuro, con più risorse, si potrà arrivare a più persone».

Art. 4 comma 4 – il protagonismo delle famiglie
Al comma 4 dell’articolo 4 si dà corpo a quel passaggio della legge che parlava di “ottica mutualistica”: «le Regioni promuovono altresì interventi volti al riutilizzo di patrimoni per le finalità del decreto presente, resi disponibili dai familiari o da reti associative di familiari di persone con disabilità grave in loro favore, indipendentemente dai criteri di priorità».

Foto Colin Maynard/Unsplash

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