Cultura
Quello spot Rai che ritiene la violenza sulle donne inevitabile
Sta facendo molto discutere un video lanciato sui social in cui quello di trovare un marito violento sembra essere un destino immutabile. «Ma le polemiche non servono. Dobbiamo usare questi errori per immaginare una comunicazione efficace che indichi un possibile cambiamento», spiega l’esperto Nino Santomartino, intervistato da Vita.it
È appena iniziata la giornata nazionale contro la violenza sulle donne ma la polemica è già divampata. A fare scintilla il nuovo spot di sensibilizzazione lanciato dalla Rai.
Su uno sfondo scuro, neutro, una carrellata di bambini racconta cosa vorrà fare da grande. «Da grande vorrei fare la veterinaria, il poliziotto, il maestro di sci, la stilista». In conclusione appare una bimba bionda, occhi azzurri, che guarda in camera e dice: «Io finirò in ospedale perché mio marito mi picchia».
Associazioni, sindacati, politici, in tanti si sono scagliati contro lo spot chiedendone la rimozione alla presidente Rai Monica Maggioni.
Tra questi anche Susanna Camusso, Remigio del Grosso (vicepresidente del Consiglio degli Utenti dell'Agcom) e la campagna #nonunadimeno.
Ne abbiamo parlato con Nino Santomartino, direttore creativo presso Idea Comunicazione, Consigliere Nazionale presso Focsiv e organizzatore di un tavolo di associazioni della società civile per trovare soluzioni proprio per l’uso di immagini scioccanti nella campagne di raccolta fondi e di sensibilizzazione (di cui aveva anche scritto proprio su Vita.it).
Ha visto lo spot sotto accusa?
Sì, l’ho visto. E vorrei fare una premessa
Prego…
Guardando lo spot, se lo destrutturiamo, vediamo un certo numero di bimbi, maschi e femine. Una di loro ha un certo destino. Quindi, se vogliamo essere onesti intelettualmente, dobbiamo dire che probabilmente l’intenzione non era generalizzare ma sottolineare la possibilità che a qualcuno succeda di avere quel destino
Quindi la polemica sarebbe ingenerosa?
No, detto questo il problema c’è. Il messaggio dell’ineluttabilità di un certo destino, nell’ambito della comunicazione sociale andrebbe abolito perché è controproducente
In che senso?
Un messaggio sociale ha come fine un promuovere un cambiamento, degli stili di vita e dei comportamenti. È una regola base del marketing sociale.
Quindi lo spot sarebbe un errore comunicativo?
Un errore molto comune purtroppo. Succede spesso di vedere veicolati messaggi di questo tipo. Non si tratta di una mia idea. Ma di quello che ha ci ha insegnato il padre del marketing aziendale Philip Kotler. Lui sosteneva che l’obbiettivo del marketing è influenzare le abitudini delle persone rispetto al consumo. Quando ad un certo punto della sua vita si è occupato di sociale ha detto che il meccanismo era lo stesso ma invece che al consumo si doveva tendere al cambiamento. Quello che del resto, ci ricordano alcuni sociologi della comunicazione contemporanea. Ecco eprché è un errore veicolare l’ineluttabilità di una situazione: è del tutto evidente che in questo modo si esclude la possibilità che qualcosa cambi, che dovrebbe essere invece l’obbiettivo di ogni campagna sociale.
Quindi questo spot andrebbe cambiato o ritirato?
La soluzione ad uno spot del genere non è il ritiro. Sarebbe una forma di censura. Abbiamo delle norme, se queste norme sono state violate ci sono i tribunali. Se le norme non sono state violate non c’è nessun motivo per cui questo spot non possa essere divulgato. Il problema è nel dibattito. Nell’ennesima polemica che non serev a nulla. Come nel caso del fertility day.
Cosa intende dire?
Che bisognerebbe partire da questi errori, come lo spot Rai o la pubblicità del Ministero, per immaginarle da capo e renderle efficaci. Nessuno ha proposto nulla di interessante alla Lorenzin né sta proponendo un’alternativa alla Maggioni per fare una comunicazione diversa. O gli errori servono per imparare e confrontarsi oppure è tutto inutile.
Lei ha delle proposte?
Una proposta che faccio da tanto è che la sfida deve essere un’altra. Dobbiamo cambiare il destinatario delle campagne. Spostare l’attenzione dalla donna che subisce violenza all’uomo che compie violenza. Significa lavorare sull’educazione degli uomini ma anche a quella delle donne che educheranno i futuri mariti.
E dal punto di vista tecnico, pubblicitario?
Ci siamo abituati da anni ad una comunicazione moto soft e patinata. Ogni tanto fanno bene toni duri e immagini forti. Questo può suscitare una reazione. Ma solo se riusciamo ad andare oltre, ad immaginare un domani diverso. Solo così la comunicazione sociale raggiunge l’obbiettivo che deve e può avere.
In apertura un frammento del video della campagna sui canali social RaiPlay
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