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Bassani: «Trump è uno schiaffo alle élites culturali»

«Il voto è stato una reazione alla balcanizzazione dell'America portata avanti dai democratici a partire dagli anni '50: spezzettavano il Paese e lo prendevano pezzo per pezzo. Ma la gente si è ribellata e ha decretato lo scacco delle élites culturali e politiche». Un'intervista con Marco L. Bassani dell'Università Statale di Milano

di Marco Dotti

Tre giorni dopo torniamo a sentire il professor Bassani che in un'intervista a Vita.it aveva azzeccato, tra i pochissimi, la previsione.

Professor Bassani, quindi si aspettava un risultato del genere. Il New York Times titolava oggi "Il trionfo di Trump"…
Me lo aspettavo, ma se devo essere sincero fino in fondo mi aspettavo di più.

Eppure i sondaggi davano tutt'altre previsioni…
Anche la Democrazia cristiana, in Italia, veniva sempre data al 28% poi prendeva il 40% e Berlusconi era regolamermente sottostimato, ma poi…. Questo è un effetto tipico: quando un partito o un candidato vengono talmente attaccati nei sondaggi che la gente si vergogna a dire di averli votati e proprio allora si hanno delle sorprese.

Come interpretare, comunque, questa esplosione?
Come una reazione dell'America alle élites culturali. Anzi, un vero e proprio schiaffo. Possiamo anche essere d'accordo sui matrimoni fra persone dello stesso sesso, cosa che alle élites piace, ma alla gran parte degli americani questo non piace. È un fatto. Non è un caso se le due coste, il Nord est e la California, il centro delle élites della battaglia culturale e quello di Hollywood hanno votato per la candidata che spingevano il Paese interno a votare.

Ma l'intero Paese si è ribellato. A che cosa?
Oramai si sta facendo largo una narrazione per cui il "male" non è l'America, ma l'America bianca. In tantissimi discorsi avanza la narrazione che si riferisce con disprezzo a quella che viene chiamata "white America" e, una volta, era un'America intera. Questo cosa può essere interpretato – senza rimarcarne gli aspetti razziali – come una rivolta dell'America profonda a essere trattata da retrograda o appena appena tollerata a casa propria.



Oltre al fallimento delle élites, c'è però la questione Obama…
Il fallimento totale dell'esperienza Obama, direi. Fallimento d'altronde certificato. Chiuque fosse arrivato, non solo Trump, avrebbe avuto la strada spianata. Trump è qui sull'onda di un entusiasmo popolare enorme, questo molti se lo dimenticano. Trump prima ha costretto in un angolo l'intero partito Repubblicano – che esce come il principale sconfitto da tutta questa vicenda – e poi, sempre da solo, ha piegato il partito Democratico. In America c'è un detto: «se non puoi bruciare la strega, sposala». Capisco che, dal punto di vista dell'analisi, Donald Trump fosse la strega per i repubblicani, però non l'hanno mai sposata.

Nemmeno alla fine?
Mai, ma adesso devono farci i conti.

In questi anni è aumentata la contrapposizione razziale
Obama ha realmente diviso l'America. Anche questo è un fallimento delle élites.

C'è stato il problema della brutalità della polizia, non scordiamocelo…
Ma è appunto un problema di brutalità della polizia, non un problema razziale anche perché metà del corpo di polizia è di colore. Ovviamente c'è chi ha pompato l'elemento razziale, ma il cuore del problema è un altro. In questo caso, lo ripeto, è la brutalità della polizia. D'altronde, questo voto è anche la risposta e la protesta al tentativo costante e continuo da parte dei democratici di balcanizzare gli Stati Uniti.

In che senso, balcanizzazione degli Stati Uniti?
Fin dagli anni '50 i democratici perseguono questa strada. Crearono persino la categoria del "bianco etnico" (il greco, lo slavo, l'italiano) per distinguerlo dal "bianco anglosassone". La balcanizzazione dell'America è stato il predicato centrale e sociale su cui il partito democratico ha fondato il proprio potere. Consideravano gli individui non come tali ma come parte di un gruppo: il gruppo delle donne single fra i trenta e i quaranta che vogliono libertà sessuale, oppure il gruppo dei cubani che vivono in Florida, etc… Con questa politica dei democratici si è trasferita l'hobbesiana guerra di tutti contro tutti all'interno della società. Una guerra trasformata in guerra di gruppi, non in una guerra individuale. Il partito democratico punta sempre alla maggioranza, costituendo però coalizioni di minoranze.

Da sempre gli americani hanno dato al presidente di un colore, il Congresso di un altro colore. Non si è mai formato negli Stati Uniti quello che, in politologia, si chiama il "governo di partito". Questo perché la divisione dei poteri, nella Costituzione ma soprattutto nella società americana, avviene ma avviene a un altro livello. Qui c'è un outsider totale che rappresenta forse anche il peggio della società americana, ma sicuramente rappresenta la società americana, mentre gli altri rappresentano le élites. In queste elezioni c'è stata veramente la spallata alle élites culturali e alle élites politiche che erano convinte, perché spalleggiate dalla Corte Suprema, di avere mano libera nel Paese. Secondo me questo voto è stato davvero la reazione a questo continuo riferimento alla "white America" come se il problema dell'America fosse il suo carattere o la sua origine bianca.

Negli Stati Uniti c'è stata qualche lettura approfondita del fenomeno-Trump?
È mancata completamente, perché le élites avevano deciso che il popolo doveva votare esattamente come dicevano loro.

Le letture del giorno dopo spiegano il tutto con prediche su machismo, ignoranza, la Clinton "tradita dalle donne non laureate"…
Si ribadisce così che la democrazia che si vuole è la democrazia mediata e ultramediata dalle élites. Una democrazia all'europea, messa in scacco dalla Brexit. Sulla Brexit il problema non è che cosa abbiano votato gli inglesi, ma perché li abbiano lasciati votare. L'idea della democrazia europea è talmente mediata che l'agenda su cui si può votare è decisa dalle classi "colte", per cui si può votare su qualche piccola cosa che non riguarda la vita nazionale. C'è un'idea di una democrazia totalmente mediata dall'élites. Cosa che in America non funziona del tutto, mi pare evidente.

Lei non condivide, quindi, nemmeno la categoria di populismo che è stata tirata in ballo?
C'è stato un dibattito, ma io non ho mai capito che cosa significhi precisamente "populismo". Populismo significa forse proporre delle soluzioni irreali, ma che fanno appello alla pancia del popolo, per problemi reali. Che cosa c'è di populista nel programma di Trump? Per oggi possiamo parlare di una dose di irrealismo, comune però un po' a tutti.

Alla fine, della proposta di Trump che cosa sappiamo?
Quello che ci è molto chiaro in Trump è che nella sua proposta i confini fanno mantenuti, un certo tentativo di protezionismo economico – che non causerà nessun tipo di conflitto perché non riuscirà a portarlo a termine, poiché la politica americana è sempre tendenzialmente favorevole libero scambio – e c'è l'idea di usare usare un governo forte e potente per fare delle cose in economia. Nessuno, però, potrà fare quello che vuole perché implicherebbe tali aumenti di spesa pubblica e di tassazione che risultano irrealistici. Esiste un punto di non realtà – che riguarda spesa pubblica e tassazione – oltre il quale non è possibile andare.

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