Economia

Governo: la storia fa bene all’economia

Tante, troppe polemiche su titoli e competenze. Ma se al Governo dell'Economia va uno storico è davvero un buon segnale. Ecco perché

di Marco Dotti

Competenti, incompetenti, titolati o senza titoli. I giudizi si sprecano. Il sarcasmo abbonda. Ma sul ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, nessuno ha da obiettare sulla competenza. Salvo qualche dubbio, espresso qua e là, sul fatto che Gualtieri sia un professore di storia e non un economista puro.

Prendiamo allora spunto da questo elemento, chiediamoci: e se fosse un punto di forza? Davvero l’economia, “scienza triste”, dismal science come la definì Carlyle è meno triste se a (tentare) di indirizzarne il corso sono matematici o seguaci di modelli astratti? Forse le cose andrebbero rovesciate.

Marcello Esposito, economista, già consulente alla Presidenza del Consiglio, ci aiuta a guardare oltre.


Storia o economia? Modelli matematici o visione prospettica?

La risposta è già nella domanda. Senza prospettiva i modelli economici restano pure astrazioni. Tra l’altro, derivando da ipotesi molto restrittive sulla natura del comportamento umano e molto forti per quanto riguarda la capacità di calcolo e la razionalità dell’essere umano, si tratta di astrazioni anche alquanto povere e poco interessanti se non si prova a dimostrare con la forza dei numeri che possono aiutare a comprendere l’attività economica di individui, organizzazioni e istituzioni. Trattandosi di una scienza che non può essere sperimentata nel chiuso di un laboratorio, l’economia ha bisogno di un contatto costante con la realtà e questa realtà è data dalla “storia”. L’economista non ha altra fonte di ispirazione o altra forma di laboratorio, se non ciò che è accaduto in passato per provare la validità delle sue teorie. Questo è il grande valore del metodo “economico” e questa è la discriminante tra l’Economia e altre discipline sociali.

Eppure, sfogliando le riviste accademiche o partecipando a qualche seminario non sembra esserci tutta questa attenzione al confronto con la storia.

Purtroppo, è così. Ma, anche senza scomodare i padri della disciplina e citare Marx o Keynes, basta pensare a due grandi economisti di scuola americana, come Ben Bernanke e Milton Friedman. Il primo, a lungo governatore della Fed, ha studiato a fondo le vicende della Grande Depressione. Questo suo sguardo storico è stato importante per affrontare le crisi che gli si sono presentate quando era governatore della Fed. La Grande Depressione, definita da Bernanke “il più grande disastro della storia americana” ha fornito una lezione. Forse, è stata la Provvidenza che ha voluto che ci fosse lui a gestire la politica monetaria americana e ad evitare che venissero ripetuti gli errori fatti dalla Fed negli anni ’30. Chi pensa che i modelli astratti si facciano in assenza di gravità, ossia di storia, è semplicemente incapace di ascoltare quella lezione.

E Friedman?

Friedman, uno dei più grandi economisti del secondo dopoguerra, ha studiato a fondo la storia monetaria del suo Paese. Non era una passione da dilettante o un passatempo da uomo colto: era parte integrante del suo fare economia. D’altronde, anche l’econometria, se non si riduce ad un esercizio di statistica matematica, si basa su serie storiche. Serie storiche che non devono essere solo analizzate ma anche costruite. Un lavoro da storici, oltre che da esperti quantitativi. Quando ad esempio si ricostruiscono le serie storiche dei prezzi per analizzare il rapporto tra inflazione e offerta di moneta, arrivando indietro di decenni (e talvolta anche di secoli) cosa si fa se non storia? Certo, nel caso dell’economia, l’obiettivo è sempre quello di spiegare un fenomeno in funzione prospettica per renderlo popperianamente falsificabile. Si tratta di “modelli”, cioè di rappresentazioni semplificate di dinamiche complesse, ma con una prospettiva scientifica, non di mera speculazione intellettuale..

Un caso personale?

Quando studiavo in Bocconi, era stato da pochissimo creato il Des, il corso di eccellenza in Economia e da cui sono usciti tra i migliori economisti italiani della mia generazione. Erano previsti ben due corsi di storia dell’economia. Ringrazio ancora chi ha avuto la forza di imporre in un corso di studi altamente quantitativo quei due esami obbligatori. Senza di essi e senza la passione per l’analisi storica delle istituzioni e delle dinamiche economiche non penso che sarei sopravvisuto professionalmente nel lavoro di gestore di patrimoni alle tante crisi finanziarie che hanno puntellato i miei quasi 30 anni sui mercati.

Quindi avere uno storico all’economia, al di là del giudizio personale, è un bene?

E’ quanto meno la sicurezza che c’è una visione allargata, un senso, una prospettiva.

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