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Bambini maltrattati: quel dovere di denunciare (a partire dalla scuola) che Bibbiano rischia di silenziare

Il Miur ha sospeso la dirigente scolastica e le maestre di Giuseppe, il bambino di 7 anni che lo scorso gennaio, a Cardito (NA), fu ucciso a botte dal patrigno. La copertina del numero di settembre di VITA sarà dedicata ai minori fuori famiglia e uno dei nodi portati in evidenza dagli operatori è proprio la difficoltà culturale alla segnalazione dei casi di sospetto maltrattamento o abbandono di un minore: una difficoltà amplificata dalla strumentalizzazione del “caso Val d’Enza”, utilizzato per mettere sotto accusa, senza distinguo, l’intero sistema della tutela minori

di Sara De Carli

Sarebbero state sospese la dirigente scolastica e due delle maestre di Giuseppe, il bambino di 7 anni che lo scorso gennaio, a Cardito (NA), fu ucciso a botte dal patrigno. Tutte sospese dal MIUR (a seguito di una ispezione voluta dal ministro Marco Bussetti nella scuola di Crispano) per non essere intervenute a tutela del bambino. Sospese in attesa dell’esito dell’inchiesta della Procura di Napoli Nord, ancora in corso, che le ha indagate per omessa denuncia, visto che sia il bambino sia la sorellina appena più grande arrivavano spesso a scuola con segni evidenti di percosse. A dare la notizia è stata ieri la Repubblica. Oggi Tuttoscuola pubblica una riflessione a firma di Vittorio Lodolo D’Oria, che chiede di «riavvicinare scuola e famiglia, scongiurando aggressioni degli insegnanti e favorendo un clima sereno, collaborativo e di reciproco rispetto con i genitori degli alunni»: il contrario di quello odierno, in cui invece le maestre hanno il «terrore d’intervenire in casi di famiglie sfasciate; timore di segnalare o mettere per iscritto evidenti segni di violenza sui bambini; paura di aggressioni e minacce da parte di genitori (o patrigni)».

In effetti la scuola è in prima linea nel segnalare le situazioni di pregiudizio per i bambini: situazioni di abbandono, maltrattati, violenze, abuso…. A volte sono le famiglie in difficoltà a rivolgersi ai servizi per avere aiuto; più spesso le situazioni di pregiudizio sono segnalate da altri attori che entrano in contatto con la famiglia: vicini di casa, terapeuti, famigliari. O dalle forze dell’ordine che intervengono in occasione di episodi acuti. Ma in primis ad accorgersi delle disfunzionalità di una famiglia sono le insegnanti ed è proprio con l’ingresso del bambino nella scuola dell’obbligo che le situazioni – magari vecchie di 5/6 anni – diventano note.

A inizio luglio, la Camera ha approvato all’unanimità una mozione che chiede più impegno sia nella prevenzione che nel contrasto della violenza su minori, intorno a cui «si creano vere e proprie barriere di omertà in cui parenti, vicini e compagni di classe, pur essendo a conoscenza degli episodi di violenza, maltrattamenti e abusi, decidono di non denunciare l’accaduto alle autorità competenti». La mozione, che elencava i sette bambini uccisi da genitori in questi primi mesi del 2019, citava anche il piccolo Giuseppe, il cui caso – si legge – «dimostra l’inefficienza delle normative attualmente vigenti, poiché dalle intercettazioni risulta che le maestre erano pienamente a conoscenza della drammatica condizione dei due piccoli che più volte si erano presentati a scuola con tumefazioni e lividi. Le maestre, data la loro particolare qualifica, avevano un obbligo di segnalare l’accaduto, se non l’hanno fatto risponderanno di questo, subendo le sanzioni previste dalle normative vigenti».

La scuola – continua la mozione – «riveste sicuramente un ambito importantissimo per prevenire i maltrattamenti verso i minori e per trattare le successive fasi di convalescenza e recupero: infatti, le vittime rischiano di non riuscire a trovare interlocutori preparati ed affidabili all’interno delle aule scolastiche, sia prima del verificarsi della fenomenologia violenta, sia dopo, a violenza avvenuta, dove è fondamentale l’intervento di personale altamente qualificato; in particolare, sarebbe opportuno prevedere centri di ascolto scolastico e forme di aiuto e assistenza psicologica da parte di specialisti e una formazione adeguata di tutto il personale scolastico, ritenuto che è ancora oggi insufficiente la propensione di dirigenti scolastici e personale docente a segnalare alle autorità preposte fatti o comportamenti che possano essere riconducibili ad episodi di violenza consumata in ambito intrafamiliare». Il Governo così è impegnato da questa mozione «ad adottare iniziative per migliorare le competenze di chi lavora con e per i bambini promuovendo una formazione specifica nel curriculum di studi della facoltà di medicina, nelle scuole di specializzazione di pediatria, radiologia, ortopedia, dermatologia, neurochirurgia, ginecologia, per gli operatori sanitari, gli operatori dei servizi sociali e del servizio per le dipendenze, gli operatori della scuola e gli operatori delle forze dell’ordine, per riconoscere i segni e i sintomi che fanno sospettare l’abuso, in modo da effettuare interventi di prevenzione che siano efficaci all’interno di una relazione competente con i bambini e con i genitori».

La copertina del numero di settembre di VITA sarà dedicata i minori fuori famiglia e uno dei nodi portati in evidenza dagli operatori è proprio la difficoltà culturale alla segnalazione dei casi di sospetto maltrattamento o abbandono di un minore: una difficoltà amplificata oggi dalla strumentalizzazione del “caso Val d’Enza”, utilizzato per mettere sotto accusa, senza distinguo, l’intero sistema della tutela minori. «Bibbiano ha mosso tutti e molte insegnanti mi dicono “ma noi come facciamo ad andare a denunciare una situazione che ci sembra pericolosa per un bambino, con i genitori che ci sono adesso?”», racconta Cristina Riccardi, vicepresidente di AiBi. «Vedo le persone perplesse rispetto a quel che è successo e inermi, mentre servirebbe un sistema di tutela che faciliti le persone che sono a conoscenza di situazioni di pregiudizio di minori a segnalare, magari non in procura ma ai servizi, in modo che chi ha le competenze per approfondire lo faccia. In questo senso serve una svolta anche culturale di attenzione al bambino, per cui se io vedo una situazione che mi fa venire il sospetto di una compromissione, io senta di dover segnalare questa cosa. Avremmo così la possibilità di monitorare davvero il benessere dei bambini».

Photo by Josh Calabrese on Unsplash

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