Famiglia
Donna è meglio
Grintose, efficienti, coraggiose. Le signore dei diritti umanitari alzano la voce e resistono anche quando gli uomini hanno cadute di tensione.
Determinate e coraggiose. Efficienti e sensibili. Ma soprattutto consapevoli dei drammi che dilaniano la nostra epoca. Forse una speranza per questo mondo malato. Operatori ed esperti della cooperazione allo sviluppo, non hanno dubbi: sono le donne a meritarsi la palma d?oro delle battaglie umanitarie. «Non mi meraviglia che alla direzione dei principali organismi umanitari ci siano delle signore», esclama Marco Griffini presidente dell?Ai.Bi. «Anche fra i nostri coordinatori di aree ci sono otto donne su dieci. Dal Kosovo al Brasile, fino in Bosnia: sono tutte donne». Ma perché? «Perché quando tutto va male e si è circondati solo da tragedie e ingiustizie, bisogna essere molto appassionati per non gettare la spugna. L?esperienza nel campo della cooperazione mi ha insegnato che gli uomini hanno un calo di tensione che invece le donne non hanno. Forse è il caso di pensare che loro siano più all?altezza per portare a termine compiti difficili. O no?». Un ok convinto anche da parte di Amnesty International, che si batte per ottenere le quote ?rosa?, soprattutto all?interno dei comitati internazionali contro la tortura. «Perché sono più adatte», spiega Daniele Scaglione, presidente della sezione italiana. «Basta guardare il caso di Mary Robinson, che oggi dirige l?Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ha alzato la voce per impedire che in Ruanda venissero giustiziate le persone accusate di genocidio. Si è battuta in difesa delle popolazione della Corea del Nord, ha protestato contro il governo della Giamaica che ha ripristinato la pena di morte. E inoltre ha messo le mani nella riorganizzazione dei vari spezzoni dell?Onu che erano completamente inefficaci. Le donne sono più incisive, soprattutto per quanto riguarda la battaglia contro la tortura. Noi di Amnesty lo abbiamo sempre detto: là dove c?è una donna a indagare contro i crimini dell?umanità, forse ci saranno anche dei capi di accusa». «Ma», aggiunge Scaglione. «esiste il problema delle decisioni politiche che non sono quasi mai nelle loro mani. Basta guardare a Sadako Ogata, dell?Unhcr. Rappresenta il braccio esecutivo di politiche che vengono decise dai governi membri dell?Onu e se gli accordi di Dayton hanno previsto che dopo due anni i rifugiati devono tornare in Bosnia, anche se non è giusto, lei deve obbedire. Quindi se da una parte la loro presenza ci ha permesso di fare alcuni passi avanti, (come per esempio per lo stupro che è stato definito per la prima volta un crimine contro l?umanità), dall?altra loro sono ancora marginali. Temo purtroppo che non vedremo presto una donna nelle veci di Segretario generale delle Nazioni Unite».
Per Donato Di Santo, responsabile della cooperazione allo sviluppo dei Ds, non è una questione di sesso, ma di priorità. «Poche settimane fa due ragazzi africani, morti assiderati nel carrello di un aero mentre cercavano di sbarcare nel vecchio continente, tenevano stretta in pugno una lettera destinata ai governanti europei. Un appello drammatico a cui hanno risposto solo i quattro ministri della Cooperazione di Germania, Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia che erano tutte e quattro donne. In Italia ha risposto solo la ministra Turco». E questo cosa significa? «Che c?è molta sensibilità da parte di esponenti femminili a impegnarsi su queste tematiche, ma c?è anche la volontà di dare priorità ai temi della povertà, sottosviluppo e alla cancellazione del debito estero».
Per Nino Sergi, presidente dell?organizzazione non governativa Intersos il futuro dell?umanitario è donna «e non è uno slogan, ma un dato di fatto. Forse le donne hanno un?inclinazione umanitaria che si traduce in volontà, sensibilità, interesse. Bisognerebbe chiedere il perché a un sociologo, ma spesso capita di rimanere meravigliati davanti ai risultati di cooperanti donne che hanno pochissima esperienza».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.