Famiglia

Ma chi ascolterà la voce di Yaguine

Si chiamavano Yaguine Koita e Fode Tounkara e avevano rispettivamente 14 e 15 anni.

di Riccardo Bonacina

All’inizio di questo sbilenco agosto, esattamente martedì 3, all’aeroporto di Bruxelles vengono trovati, nel vano del carrello di un Airbus della Sabena proveniente dalla Guinea, i corpi senza vita di due ragazzi africani. Si chiamavano Yaguine Koita e Fode Tounkara e avevano rispettivamente 14 e 15 anni. I meno 50 di quota diecimila li hanno fatti morire di assideramento. La loro storia sarebbe stata archiviata dalle svogliate e distratte cronache come una delle tante disperate e tragiche storie di poveri emigranti senza fortuna (siano essi africani o rom o curdi) cui in genere vengono dedicate solo poche righe. A risvegliare almeno un po’ l’attenzione dei media, soprattutto all’estero, il fatto che nelle tasche dei due ragazzi è stata trovata una lettera indirizzata “Ai governanti d’Europa”. Poche righe probabilmente scritte proprio su quel maledetto aereo poco prima di perdere conoscenza e ancora pieni di speranza che qualcuno avrebbe potuto trovare quel foglio e provveduto a salvarli. In essa vi era scritto, in un inglese con qualche sgrammaticatura: «Se vedete che ci sacrifichiamo e che mettiamo a rischio la nostra vita è perché in Africa si soffre troppo. (…) Abbiamo la guerra, le malattie, la mancanza di cibo, di educazione e istruzione. (…) Vogliamo studiare e vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi». Siamo voluti tornare su questo episodio perché le poche righe dei ragazzi africani è come se dessero voce a tutti i profughi e immigrati in fuga dai loro disastrati Paesi, una voce che vogliamo rilanciare all’indomani del naufragio di una carretta del mare che è costata la vita a 17 rom che cercavano rifugio in Italia dai veleni etnici, un paese che non avrebbe concesso loro nulla di quel che speravano, se non affibiare loro la patente di “clandestini”. Quella di Yaguine e Fode è una voce che interpella la nostra coscienza di cittadini di una piccola e chiusa civiltà del benessere e che dovrebbe mettere in discussione le nostre economie che continuano a fondare le loro fortune sulle disgrazie e sui debiti di più di due terzi del pianeta. Per questo le parole di Yaguine e Fode interpellano anche i politici dei Paesi più ricchi che dovranno dar seguito alle promesse riguardo la cancellazione del debito, gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo. Del resto la cronaca di questo ‘99, zeppa di emergenze umanitarie, di catastrofi ambientali, di guerre più o meno raccontate, di movimenti e migrazioni di interi popoli dovrebbe convincerci del fatto che ogni ferita e ingiustizia inferta e consumata in qualche angolo del mondo tornerà, presto o tardi, a bussare a casa nostra. Per questo le politiche umanitarie non possono più essere confuse ed equivocate con l’elemosina dei ricchi verso i più poveri o come l’esercizio della cattiva coscienza occidentale, ma devono diventare sempre più un agente di sviluppo giusto e trasparente per l’intero pianeta.


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