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Dopo la Turchia l’Afghanistan. L’Europa ai saldi dei diritti umani

A fronte di centinaia di miliardi di euro ricevuti in questi anni dal governo afghano, la situazione in quel Paese, negli anni, non è migliorata. Sul fronte dell'emigrazione, oggi gli afghani rappresentano la seconda nazionalità per domande di asilo in Europa

di Marco Ehlardo

Nella recente Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan, l’Unione Europea ed il governo afghano hanno raggiunto un accordo per il rimpatrio di richiedenti asilo afghani presenti nel nostro continente. Subito dopo, l’UE ha stanziato altri 5 miliardi di euro di “aiuti allo sviluppo” per quel Paese. L’accordo sui migranti prevede il rimpatrio, quando non volontario anche forzato, di richiedenti asilo la cui richiesta sia stata respinta. Si prevede sì un limite di 50 rimpatriati per ogni volo (solo per i primi 6 mesi), ma nessun limite sul numero dei voli, ergo potenzialmente il numero di rimpatriati non avrà limiti.

Ora, ci sarebbe già da discutere sul fatto che le centinaia di miliardi di euro ricevuti in questi anni dal governo afghano (da oltre 70 nazioni, non solo UE) non sempre si sono rivelati un “aiuto”, tantomeno “allo sviluppo”, visto che la situazione in quel Paese, negli anni, non solo non è migliorata, ma è addirittura peggiorata. Ci sarà un motivo se gli afghani rappresentano la seconda nazionalità per domande di asilo in UE. Ma le cose che ritengo inquietanti di questo accordo, come di quello con la Turchia, sono soprattutto altre due. La prima riguarda la possibilità di rimpatriare cittadini afghani.

Nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati esiste un principio detto di non refoulement (non respingimento) secondo cui a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio né può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e persino dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento; dunque, in sostanza, è un divieto di qualsiasi forma di allontanamento forzato verso un paese non sicuro.

Ora già faccio enormemente fatica a capire come sia possibile che a questi richiedenti afghani non sia stata riconosciuta nessuna forma di protezione; ci starebbe quantomeno una protezione sussidiaria di default. Ma addirittura il rimpatrio! Vuol dire che stiamo considerando sicuro l’Afghanistan? Parliamo dello stesso Paese in cui persino gli occidentali, nella blindatissima Zona Verde di Kabul, non sono stati al sicuro da attacchi e attentati in questi anni? Una pura, semplice e criminale follia.

La seconda cosa inquietante, da cittadino europeo, è l’esternalizzazione della questione dei rifugiati che sta attuando l’UE. Prima con la Turchia, per bloccare il flusso di richiedenti asilo siriani. Ora direttamente con il Paese di provenienza dei richiedenti asilo afghani. Ed altri analoghi accordi sono all’orizzonte con Paesi africani. Per giunta con una specie di saldi: dai 6 miliardi alla Turchia siamo passati ai 5 miliardi all’Afghanistan. E c’è ancora chi dice che la vita umana non ha prezzo! Una cosa è “aiutiamoli a casa loro”, una cosa è “diamo dei soldi ai loro governi per bloccarli lì e chi se ne frega di cosa gli succede”. L’aiuto (vero) allo sviluppo è un lavoro di medio-lungo termine. Vanno create le condizioni di sicurezza e di sviluppo economico di un Paese, e finché la situazione non cambia sostanzialmente non si può lavarsene le mani.

E poi che aiuto si può dare allo sviluppo di un Paese come l’Afghanistan, rimandandogli indietro circa 80.000 persone, che è il numero stimato di richiedenti da rimpatriare? Un Paese dove più di un terzo della popolazione non ha adeguato accesso al cibo; un Paese stimato come il quarto meno sicuro al mondo; un Paese che attualmente ha già più di un milione e mezzo di sfollati interni.

Insomma, ci si auspicava piuttosto un ritiro dell’accordo con la Turchia (ancor più vista l’attuale situazione in quel Paese), e invece il modello viene replicato e, possibilmente, peggiorato. Stiamo correndo sempre più velocemente dall’Europa dei diritti all’Europa dei saldi dei diritti. Senza nemmeno la possibilità, da cittadini europei, di poter scendere da questo treno in corsa.

Infine, da cittadino italiano, una domanda la voglio fare al nostro governo. È questo quello che intende il nostro presidente del consiglio quando parla di affrontare il fenomeno migratorio “aiutandoli a casa loro”?Perché se il modello è questo, allora meglio evitare di “aiutarli”. Se invece non lo fosse, lo dica e ne prenda le distanze.

In copertina: bambina afgana, fotografia di NOORULLAH SHIRZADA/AFP/Getty Images

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