Non profit
Il terzo settore alla prova dei luoghi
I territori sono in molti casi oggi veri laboratori di cambiamento. Ma c'è bisogno di coraggio e di discontinuità. E di non concepirsi come "settori". Ecco i temi e le prospettive lanciate nell'incontro di apertura della "Cernobbio del non profit"
Bertinoro – Ha voluto lanciare un tema di discontinuità Stefano Zamagni per le Giornate di Bertinoro 2016. E così è stato messa sul tavolo la questione decisiva dei territori. Come ha detto introducendo i lavori lo stesso Zamagni la sfida è il passaggio da "spazio" come concetto geografico a "luogo" come realtà socio culturale.
Che ruolo ha il Terzo settore in questa possibile transizione? Zamagni ha richiamato l'esperienza del "modello di civiltà cittadina" che è proprio il patrimonio culturale e sociale che la storia ci consegna. Due le voci che si sono implicate in profondità sulla questione, quelle di Aldo Bonomi e di Matteo Ricci, sindaco di Pesaro (nella foto di copertina), scese in campo dopo l'intervento iniziale dell'ex ministro del lavoro Giovannini. Oggi ha detto Bonomi ci sono luoghi dove le "utopie vengono realizzate, dove si è resa possibile una concertazione territoriale".
Ma quali sono le condizioni che ha permesso che questo accadesse? Secondo Bonomi il punto decisivo è la consapevolezza che non esistono più i recinti che separano la comunità operosa (cioè il mondo produttivo) e la comunità della cura (cioè chi si occupa dei bisogni). Oggi chi produce, ad esempio attraverso i meccanismi che hanno incentivato il welfare aziendale, interviene nell'area del welfare, perché la salute del territorio è strategica per tenere alta e concorrenziale la qualità della produzione. Il terzo settore ha capito questo passaggio di discontinuità? Si è chiesto Aldo Bonomi. Il suo compito non può essere quello che lui ha definito «della gestione di chi è scartato dai processi. Il terzo settore o diventa un nodo di rete, altrimenti la sua funzione è quella di occuparti di marginalità, con buona pace dei sogni di un'economia circolare». Per questa transizione da spazi a luoghi secondo Bonomi è poi necessario un capitalismo che abbia incorporato un senso del limite. È la capacità di tenere insieme prossimità e simultaneità. «Ci vogliono rivoluzioni locali connesse però ai grandi processi: questa è la simultaneità. Bisogna saper narrare le eterotipie in atto, perché come ha scritto Heidegger, Il territorio prima lo si pensa e poi lo si abita, altrimenti se prima lo si abita si finisce con il cedere alle logiche del rinserramento».
Matteo Ricci ha calato il tema nella concretezza del lavoro di un sindaco costretto a gestire una città nella stagione di quella che ha chiamato «la decrescita infelice». «Le città sono laboratori più interessanti perché più verificabili», ha detto «Si può misurare davvero se il Bes cresce o no. Prendiamo l'urbanistica: oltre cento ettari convertiti in agricolo perché la gente non vuol pagare le tasse per terreni che non saranno mai edificati. Perciò il Bes va tutto nella direzione della riqualificazione dell'esistente». L'esempio concreto è quello di un ripensamento completo dell'approccio: «Abbia riconcepito la formazione mettendo un gruppo di disoccupati a monitorare i consumi energetici delle abitazioni. Un centinaio gli appartamenti che si sono resi disponibili. Risultato: gli inquilini in percentuale alta hanno deciso di rimettere mano alle proprie case per migliorare lo standard i consumi di energia. Questo ha rimesso in movimento la filiera edilizia che era ferma. I disoccupati hanno recuperato competenze che hanno facilitato il ritorno sul mercato del lavoro». Ricci ha toccato anche il tema delicato dell'accoglienza degli stranieri, mettendo in guardia dai rischi dell'estremismo buonista. «Bisogna ragionare davanti a questa emergenza. Mi hanno accusato perché abbiamo organizzato programmi di volontariato per i migranti accolti. Chi mi accusava di sfruttamento chi invece di togliere lavoro agli italiani. Non era vera né una cosa né l'altra. Perché la loro presenza come volontari ha mitigato enormemente l'impatto sulla cittadinanza, che ha avuto un'occasione positiva di entrare in relazione con loro». Per finire un monito: «I percorsi partecipativi oggi vengono concepiti su questioni molto circoscritte. Ma questa è una visione che finisce con il paralizzare le scelte. Invece i percorsi partecipativi devono essere costruiti su obiettivi lunghi. Perché se si ha a cuore la democrazia bisogna tener presente che la velocità della decisione è cruciale per la democrazia»..
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.