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Se la mamma lavora, la dispersione scolastica cala

Nell'anno scolastico 2016/17 e nel passaggio all'anno successivo, ben 131.062 studenti hanno abbandonato la scuola, non assolvendo all'obbligo. Il dato è in calo, ma sempre elevato. Più a rischio gli alunni con cittadinanza straniera. E il report del MIUR correla per la prima volta i dati degli abbandoni con alcune variabili socio-economiche

di Sara De Carli

Con L’Anagrafe degli Studenti, la misura della dispersione scolastica diventa sempre più precisa. Nel nuovo report del MIUR, pubblicato ieri, la dispersione scolastica è rappresentata – come un puzzle – dall’insieme di cinque “tasselli”: gli abbandono in corso d’anno alla scuola secondaria di primo grado, gli abbandoni tra un anno e il successivo sempre alla secondaria di primo grado, quelli che scompaiono dopo la terza media (non si iscrivono a una scuola superiore, né a un percorso IeFP, né ripetono l’anno), e infine gli abbandoni in corso d’anno e fra un anno e l’altro per la scuola secondaria di secondo grado.

Nell’anno scolastico 2016/2017, nella scuola secondaria di primo grado, 6.244 alunni hanno abbandonato la scuola. Altri 5.586 l’hanno fatto a settembre 2017, all’inizio dell’anno scolastico successivo. In totale 11.830 abbandoni, pari a 0,69 studenti su 100. La dispersione scolastica sembra incidere in modo differente sulla popolazione studentesca maschile rispetto a quella femminile: l’abbandono complessivo per i soli alunni maschi è stato, nel periodo considerato, pari allo 0,77% mentre per le femmine allo 0,59%. La maggiore propensione all’abbandono scolastico è riscontrata nelle aree più disagiate del paese: per la scuola secondaria di I grado, mediamente il Mezzogiorno ha riportato una percentuale di abbandono complessivo dello 0,84% (con l’1,12% nelle Isole e lo 0,70% al Sud); le regioni centrali riportano una percentuale di abbandono complessivo pari allo 0,69%, il Nord Ovest in media dello 0,64% e il Nord Est una percentuale decisamente più contenuta, pari allo 0,47%. Tra le singole regioni spiccano la Sicilia con l’1,2%, Calabria, Campania e Lazio con lo 0,8%; le percentuale più basse si evidenziano in Emilia Romagna con lo 0,4%, e in Veneto e in Basilicata entrambe con lo 0,5%. Per cittadinanza degli alunni, è evidente come il fenomeno della dispersione scolastica colpisca maggiormente i cittadini stranieri rispetto a quelli italiani; nella scuola secondaria di I grado la percentuale di alunni stranieri che abbandona la scuola si è attestato, nel periodo considerato, al 2,92%, contro lo 0,45% relativo agli alunni con cittadinanza italiana. Gli stranieri nati all’estero, con una percentuale di abbandono del 4,11%, sono in situazione di maggiore difficoltà rispetto agli stranieri di 2° generazione, ossia quelli nati in Italia che, indubbiamente più integrati, hanno riportato una percentuale di abbandono complessivo dell’1,84%. Il tasso di abbandono risulta più elevato della media per gli alunni con cittadinanza della Costa d’Avorio (8,9%), Bosnia-Erzegovina (7,2%), Egitto (7,1%) e Bulgaria (5,9%).

Gli alunni che hanno abbandonato il sistema nazionale di istruzione e formazione, nel passaggio tra il I e il II ciclo – per intenderci dopo la terza media – sono complessivamente pari a 8.130, pari allo 0,48%. Anche nel passaggio tra cicli scolastici, il fenomeno della dispersione interessa maggiormente la popolazione studentesca maschile rispetto a quella femminile: l’abbandono complessivo per gli alunni maschi è stato dell’1,61% e quello delle femmine dell’1,27%. In questo caso quantificare la dispersione territorio per territorio è più complesso perché alcune regioni hanno aderito al sistema di iscrizioni on-line ai corsi IeFP per l’anno scolastico 2017/2018 (Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Molise, Sicilia e Liguria) e quindi l’Anagrafe tracci anche questi studenti, mentre per le regioni che non hanno aderito non è possibile sapere se i ragazzi mancanti all’appello sono veramente in dispersione scolastica o sono iscritti a corsi regionali di Formazione Professionale: è il caso ad esempio del Friuli Venezia Giulia, che ha un tasso di abbandono del 3,6%, dato che però non può essere considerato reale abbandono dal sistema scolastico e formativo.

Complessivamente, con i primi tre tasselli del puzzle, arriviamo a 19.960 abbandoni complessivi, pari al 1,17%.

Veniamo ora alla scuola secondaria di II grado. Il dato complessivo qui è di 99.272 abbandoni complessivi (3,81%), composto da 35.491 abbandoni nel corso dell’a.s. 2016/2017 e 63.781 fra quell’anno e l’inizio dell’anno scolastico successivo. La differenziazione per genere sul fenomeno della dispersione scolastica è, per gli alunni della scuola secondaria di II grado, piuttosto marcato: per la popolazione studentesca maschile l’abbandono complessivo è stato del 4,6% e per la popolazione femminile del 3%. Il primo anno di corso è quello su cui si salta più facilmente: l’abbandono è stato pari al 6,2% (1,8% nel corso dell’a.s. 2016/2017 e 4,4% nel passaggio all’a.s. 2017/2018); per gli anni di corso successivi è stato più contenuto, attestandosi per il II anno al 3,9%, per il III al 3,7% e per il IV anno di corso al 3,6%. Anche per la scuola secondaria di II grado le regioni del meridione hanno riportato mediamente la percentuale di abbandono complessivo più elevata, pari al 4,7% per le regioni insulari e al 3,9% per quelle del Sud. Il Nord Ovest presenta una percentuale di abbandono del 3,8%, le regioni dell’Italia centrale in media del 3,5% e quelle del Nord Est del 3,3%. Per la scuola secondaria di II grado, il tasso di abbandono complessivo è stato più elevato nelle scuole paritarie, con una percentuale del 7%, rispetto a quello registrato nelle scuole statali, pari al 3,7%. Ancora una volta, impatta cittadinanza: la percentuale di alunni stranieri che hanno abbandonato la scuola è del 10,5% contro il 3,3% riportato dagli alunni con cittadinanza italiana. In particolare, gli alunni con cittadinanza non italiana nati all’estero, hanno un tasso di abbandono complessivo pari all’11,8%, più elevato quindi di quelli nati in Italia. I licei hanno presentato mediamente una percentuale di abbandono complessivo dell’1,8%, per gli istituti tecnici la percentuale è stata del 4,3% e per gli istituti professionali del 7,7%. La percentuale di abbandono più elevata è relativa a percorsi IeFP (realizzati in regime di sussidiarietà presso le scuole), con un abbandono complessivo del 9,9%.

Accorpando i cinque “tasselli della dispersione” gli alunni che, a cavallo dei due anni scolastici 2016/17 e 2017/18 sono complessivamente usciti dal sistema scolastico nazionale e non hanno assolto il diritto-dovere all’istruzione sono l’1,17% degli alunni frequentanti la scuola secondaria di I grado a inizio anno scolastico e il 3,82% degli alunni frequentanti la scuola secondaria di II grado a inizio anno scolastico, in calo dal 2014/15. Ma significa sempre che mancano all’appello complessivamente, quell’anno, 131.062 studenti.

Quali fattori influiscono sulla dispersione scolastica? L’ultimo paragrafo del report del MIUR mette in correlazione i dati sull’abbandono complessivo degli alunni con alcuni dati presi dal Rapporto BES dell’Istat (livello culturale e del grado di istruzione raggiunto dalle famiglie, capacità reddituali e il benessere economico del territorio, grado di partecipazione al lavoro della popolazione e delle donne con figli): «tale esercizio mostra come la propensione all’abbandono del sistema scolastico e formativo sia più elevata nelle aree più disagiate del paese, sia per quel che riguarda la scuola secondaria di I grado che quella di II grado».

Gli esiti sono in un certo qual modo prevedibili ma ugualmente inaccettabili: più sono elevati il livello culturale e il grado di istruzione più è contenuto il tasso di dispersione; là dove vi sono maggiori disuguaglianze nel reddito e un più elevato rischio di povertà e di deprivazione materiale, il tasso di dispersione è più elevato; più è elevata la mancata partecipazione al lavoro è più il tasso di abbandono è alto; c’è un legame inverso tra la propensione al lavoro delle donne con figli con il tasso di dispersione. I dati hanno permesso l’elaborazione delle seguenti “mappe” regionali dell’Italia.

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