Politica
Silvia Della Monica: conclamato conflitto di interesse in CAI
Continuiamo a dare conto dell'intervento di ieri della vicepresidente della CAI, Silvia Della Monica, in Commissione Giustizia. Impossibile convocare la Commissione «in una situazione di conclamato conflitto d’interesse», «con l'ente Aibi che esprime direttamente in commissione un rappresentante in quanto facente parte del direttivo del Forum e un’indagine di carattere amministrativo e una penale in corso» sulla vicenda Congo
Convocazione CAI e conflitto d’interessi
Quanto alla critica (il «mantra») per «assenza di collegialità», più volte mossa alla Commissione, la vicepresidente Silvia Della Monica si è soffermata a lungo. La Cai «esprime la sua azione attraverso decisioni sia collegiali sia monocratiche» e in particolare con l’azione quotidiana del vicepresidente, mentre «la cadenza con cui è convocata Cai deve rispondere ad esigenze effettive, non a una prassi»: così la vicepresidente ha respinto le accuse. Se non ha convocato la Commissione – «l’ho già spiegato pubblicamente con forza e chiarezza, sia pure non ripetutamente perché credo di essere stata uno dei presidenti o vicepresidenti più silenti», ha detto, facendo riferimento all’intervista rilasciata a Repubblica – è per «la presenza di conflitti di interesse in un organo di vigilanza e controllo».
Quindi la CAI non viene convocata da due anni perché – in sintesi – il Forum delle associazioni famigliari, che esprime un commissario in Cai (secondo la legge uno dei tre rappresentanti delle associazioni familiari previsti spetta di diritto al Forum), ha nella sua compagine associativa anche due enti autorizzati, i cui interessi sarebbero «surrettiziamente rappresentati in Cai». La legge è altrettanto chiara innanzitutto nel dire che gli enti non possono far parte della Commissione. Il DPCM Delrio, emanato nel marzo 2015 stabilisce che i commissari designati «non possono essere espressi da enti autorizzati» o «rappresentarne, comunque, gli interessi», ma non è stato risolutivo essendo il decreto che “assegna” un commissario al Forum un decreto del presidente della Repubblica, quindi di rango superiore.
Una vicenda, questa con il Forum, di cui la vicepresidente Della Monica si è detta «molto dispiaciuta», «avendo tentato in tutti i modi di far rientrare questa ipotesi di conflitto di interessi in più sedi», ma che «è stata ripresa anche da un’altra associazione famigliare, al punto tale che molti enti autorizzati hanno sottoposto alla Commissione alcuni aspetti di cui non posso fare a meno di dare conto», ovvero che «la presenza in CAI di coloro che surrettiziamente rappresentano gli enti, perché espressi nel direttivo del Forum o perché nell’ambito della associazioni familiari finisce per creare un problema di legittimità delle delibere»: quindi alcuni enti hanno chiesto, così ha rivelato la vicepresidente, di «riesaminare le delibere emesse in precedenza dalla Cai» in particolare su decisioni che sono andate a impattare «su altri enti, che non sono rappresentati in Commissione». In particolare «è stata richiesta la revisione delle attività sui progetti di sussidiarietà» approvati, ma «rispetto a cui non c’è alcun controllo da parte di una commissione esterna, come si fa quando c’è un bando con soldi pubblici né accertamenti circa l’avvenuta esecuzione all’estero delle attività finanziate con soldi pubblici. Io non ero parte della Commissione allora, non posso attestare cose di cui non sono a conoscenza, questo ha prodotto un’indagine seria per capire quanto fosse fondata la richiesta degli enti di rivedere questa attività».
La non riunione della Commissione, quindi, «in una situazione di conclamato conflitto d’interesse», è stato «il più significativo atto di rispetto della piena legittimità di azione di tale organo, tanto più che nella prima riunione della Commissione, in cui si doveva discutere della legittimità della costituzione della stessa, da parte di quelli stessi soggetti che conclamatamente avevano un conflitto di interessi – che non è un fatto personale ma delimitato dalla legge – si assumeva di non avere conflitti interessi e si firmava un documento nell’ambito del quale si asseriva qualcosa che non è assolutamente vero».
Il Congo, Aibi e l’inchiesta dell’Espresso
Riportiamo alla lettera la parte finale dell’intervento della vicepresidente, sulla RDC, «uno dei problemi maggiori» che ha affrontato, peraltro connessa con la non riunione della Commissione.
«Sin dal maggio 2014, in piena crisi RDC, mentre arrivavano i primi bambini RDC, ci siamo trovati dinanzi alla denunzia da parte di alcune famiglie di fatti che si sono delineati a breve come gravissimi e hanno posto la Commissione dinanzi alla necessità non solo di portare avanti con fermezza l’attività di indagini su questi fatti e tutelare le famiglie, ma anche di porre in essere ogni cautela per evitare che tale situazione si riverberasse negativamente sulla questione RDC, travolgendo non solo i 181 bambini adottati da famiglie italiane ma tutti i 1500. Immaginate il riflesso in sede internazionale: i bambini non sarebbero più arrivati. Avremmo dovuto parlare di questo in Commissione, con la presenza del controllore e del controllato, con l’ente Aibi che esprimeva direttamente in commissione un rappresentante in quanto facente parte del Forum e del direttivo del Forum, con un’indagine di carattere amministrativo e una penale in corso.
La Commissione ha preso in carico 50 procedure adottive, 6 delle quali con genitori disperati per non avere più i loro figli. Tutte le famiglie hanno revocato l’incarico all’ ente, diffidando l’ente Aibi che hanno revocato dall’intervenire nelle loro procedure adottive. Mentre la Cai lavorava, altri hanno lavorato per impedire risoluzione, a cominciare dalla sistematica campagna mediatica di delegittimazione della Commissione e degli enti che stavano aiutando la Commissione a portare a compimento procedure adottive così delicate. Un sacerdote molto stimato in RDC è stato accusato di rapimento inesistente di bambini, abbiamo avuto una azione sistematica nei confronti di questa persona, mentre le famiglie disperate dicevano che nessuno aveva rapito i loro figli. Un altro ente è stato accusato di traffici di minori inesistenti, sostenendo che questi bambini erano stati trasferiti irregolarmente in Italia, in piena moratoria da parte della RDC: voglio assicurare che i bambini si trovano regolarmente in Congo, nel loro orfanotrofio. Questo però ha consentito di bloccare il trasferimento dei bambini di Goma, con grave disperazione delle loro famiglie.
L’inchiesta di Gatti pubblicata su l’Espresso riporta fatti gravissimi, di cui la Commissione è pienamente consapevole. Il tentativo di banalizzazione o l’atteggiamento negazionista – nemmeno una parola è stata spesa nei confronti di famiglie vittime dei gravi fatti raccontati, che si sono rivolte direttamente alla Commissione per essere tutelate – non risponde alla prioritaria esigenza di chiarezza e sostegno all’azione ineludibile di pulizia che deve essere portata fino in fondo e che io intendo portare fino in fondo.
Colgo l’occasione per ringraziare il presidente del consiglio Renzi per aver condiviso con me decisioni molto difficili, il ministro Delrio per aver condiviso con me momenti difficili, il ministro Boschi per avere condiviso con me, perché tutti siamo legati da un unico cammino, quello della legalità. Se non si affermano queste precondizioni, difficilmente potremo essere apprezzati nelle sedi internazionali e solo questo atteggiamento ci consente di essere considerati come l’autorità che è in grado di fare pulizia anche al proprio interno, pulizia che non si fa solo nelle sedi penali. Non si può deegare solo alla sede penale l’accertamento di tali fatti. La Commissione esiste anche perché ha il compiuto di autorizzare, vigilare e sanzionare gli enti che non rispondo più ai requisiti dell’art 39ter di trasparenza, pulizia, correttezza e soprattutto non rispecchiano l’interesse superiore del minore. Le adozioni nascono per questo, non per una genitorialità – che rispettiamo – ma per il diritto fondamentale del minore ad avere famiglia e anche a non esser strappato dal proprio paese di origine».
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