Formazione
Il welfare ricomincia dalla a di assistenza
Per la prima volta il Terzo settore entra come fornitore di servizi accanto allo Stato e al privato.
di Redazione
Si cambia. Dopo 110 anni il volto del sistema di garanzie più “mammone” del mondo, quello italiano, cambia faccia e si trasforma – almeno nelle intenzioni – in un welfare moderno. La svolta si deve alla nuova legge quadro sull’assistenza voluta dal governo e in discussione in questi giorni alla Camera. Il primo e l’ultimo ad aver costruito lo Stato sociale dalle fondamenta era stato nel 1890 Crispi, a cui si deve l’impianto del sistema attuale. Di qui la necessità di adeguare la normativa alla società di un secolo dopo, con nuovi strumenti e anche (come abbiamo evidenziato in tabella) con un nuovo linguaggio. Ed ecco le principali novità: innanzitutto, il ruolo del Terzo settore. La nuova assistenza sarà di tipo integrato, cioè non solo statale ma con una forte corresponsabilità di soggetti diversi (in particolare enti non profit); la progettazione dei servizi, inoltre, segue uno schema decentrato, ed è demandata in primo luogo ai Comuni, poi alle Province, poi alle Regioni e infine allo Stato secondo il principio della sussidiarietà verticale. Ma le novità non finiscono qui. Oltre a queste innovazioni per così dire di impianto, vengono introdotti parecchi strumenti inediti per l’Italia, come il buono di servizio per l’acquisto di prestazioni scelte dal cittadino, e anche una diversa considerazione dei bisogni, per cui entrano nel sistema di assistenza anche persone che momentaneamente attraversano un periodo di fragilità (madri sole, famiglie con una persona non autosufficiente a carico, genitori giovani, bambini in difficoltà), e che una volta superata la crisi ne possono anche uscire. Elementi che vanno ad aggiungersi al progetto di riforma delle Ipab (per cui il governo chiede la delega) e al riordino delle professioni sociali, e che segnano tutti insieme uno spartiacque per il futuro welfare all’italiana. In queste pagine, sei esperti ci guidano alla comprensione delle novità più rilevanti. E nella pagina seguente Livia Turco spiega le ragioni e le idee che hanno ispirato una riforma a lungo attesa.
Le Onlus protagoniste
Art. 1
– Lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono e riconoscono il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
– Alla gestione e all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, associazioni e degli enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e soggetti privati.
di Luigi Bobba
In questa legge ci sono principi importanti che danno un segnale di vero cambiamento in direzione della sussidiarietà, cioè della corresponsabilità dei cittadini e delle loro organizzazioni nella risposta ai bisogni sociali. Quindi c’è una modernizzazione delle risposte della rete sociale, emergono delle specificità diverse tipiche del Terzo settore, per cui si possono mettere a frutto la socialità, la solidarietà e l’autorganizzazione in forma di impresa che sono le tre colonne del Terzo settore italiano. Ho un’unica riserva: perché non si è avuto più coraggio, introducendo chiaramente anche la sussidiarietà orizzontale? Nei due commi centrali dell’articolo 1 (pubblicati qui sopra, n.d.r.) si è conservato il modello costituzionale, verticale, per cui l’attività di programmazione compete solo agli enti locali. Credo invece che nel welfare moderno una concertazione tra potere centrale e organizzazioni non profit sia essenziale, altrimenti il nuovo welfare non comincerà mai, gli enti non profit rimarranno sempre strumenti e non protagonisti. Certo un importante passo avanti è stato compiuto, ma manca ancora lo sprint finale. Vogliamo rendere il Terzo settore veramente compartecipe? E allora occorre affrontare la sfida in modo più adeguato.
Il ruolo degli enti locali
Art. 6,7,8
– I Comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale.
– Le Province concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
– Le Regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l’integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria.
di Nuccio Iovene
Questa è una legge che parte dal basso, ascendente, e parte specialmente dai Comuni il cui ruolo e le cui funzioni sono esaltate per quanto riguarda le politiche sull’assistenza. È un elemento importante, una realizzazione piena della sussidiarietà verticale, che servirà anche a razionalizzare le risorse: in Italia la spesa per l’assistenza non è alta, anzi è al di sotto della media europea, ma è composta per il 95% di trasferimenti economici diretti (leggi indennità e pensioni di vario tipo) e solo per il 5% di servizi su scala locale. Ecco perché questa è l’occasione giusta se non per rovesciare la proporzione, per riequilibrarla spendendo più risorse per servizi alla persona sul territorio. E chi se non i Comuni sono chiamati a far questo? È un banco di prova: a queste amministrazioni sono affidati fondi e responsabilità e lo Stato scommette che sapranno far fruttare gli uni e le altre. Ce la faranno? Direi di sì, in gran parte, anche considerando il fatto che in Italia ci sono Comuni che già oggi organizzano i servizi in modo eccellente, tanto che spesso si parla di “isole felici” proprio per questo motivo. Lo stesso scenario è favorevole anche al non profit, perché per i servizi organizzati su scala locale si dovrà tenere conto dei soggetti sociali già operanti sul territorio e interagire con essi, sia valorizzandone le competenze che controllandone l’operato, a vantaggio di tutti.
Addio vecchie Ipab
Art. 10
Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo è delegato ad emanare un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) (definendo) l’inserimento nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali (prevedendo) la trasformazione della forma giuridica delle IPAB che svolgono attività di erogazione di servizi alla persona.
di Giorgio Fiorentini
Le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza nel futuro possono prendere due strade: o si trasformeranno in istituzioni di diritto pubblico a forte autonomia, praticamente società miste, oppure prenderanno la strada del non profit diventando fondazioni, associazioni e così via. In entrambi i casi l’elemento di novità è l’acquisizione di un’autonomia che permetta di adeguarsi in modo elastico ai bisogni che mutano. E in entrambi i casi le “nuove” Ipab realizzeranno la sussidiarietà che io chiamerei aziendale, cioè dovranno rapportarsi con i Comuni e con le Asl obbedendo a criteri di economicità, continuità ed equilibrio tra costi e ricavi. Peraltro questo mutamento avviene nel contesto di uno Stato che dovrebbe essere regolatore nel lasciare che i servizi sociali siano gestiti da strutture pubbliche, private non profit e anche private profit. Quindi non corriamo il rischio di veder separato l’ordine economico dall’ordine sociale. A chi in questi giorni ha espresso pubblicamente dubbi sulla destinazione dei quasi 40 mila miliardi di patrimonio delle Ipab dopo la riforma, rispondo che sarebbe meglio che queste risorse prendessero la via del Terzo settore, con la trasformazione delle Ipab stesse in enti non profit. In questo modo si potenzierebbero i servizi che per definizione e sul campo hanno dimostrato di essere attenti ai più deboli, altamente qualificati e capaci soprattutto di differenziarsi al variare della domanda.
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