Sostenibilità

Slow Food: 10.000 orti in Africa per riscoprire l’agricoltura comunitaria

10.000 orti in Africa è il progetto della Fondazione Slow Food per rilanciare l'economia rurale africana realizzando orti buoni, giusti e puliti nei villaggi e nelle scuole africane.

di Cristina Barbetta

«Gli orti sono uno strumento per educare, trasmettere i saperi del territorio e veicolare la filosofia di Slow Food». A parlare è Typhaine Briand, Slow Food International, che ha moderato la conferenza sugli orti nell’Africa francofona occidentale, durante Terra Madre 2016, a Torino.

Il progetto è nato come “1000 orti in Africa” nel 2010 in occasione di Terra Madre Salone del Gusto, e da allora si è sviluppato moltissimo. All’inizio del 2014 l’obiettivo dei 1000 orti è stato raggiunto e Slow Food ha deciso di lanciare il progetto “10000 orti in Africa”. Alla conferenza, cui è intervenuto Davide Dotta, Slow Food International, hanno partecipato 100 delegati dell’Africa francofona occidentale.

Gli orti in Africa seguono la filosofia di Slow Food del cibo buono, giusto e pulito. Sono orti creati da una comunità: tutti possono contribuire: giovani, adulti, persone di tutte le provenienze sociali . Sono coltivati con metodi sostenibili, nel rispetto della biodiversità, e producono i semi che utilizzano. Sono orti in rete, in cui ci si scambiano informazioni, ci si incontra, e si è inseriti all’interno di un network globale. Sono aule all’aria aperta, per bambini e per adulti: per far conoscere loro le piante del luogo, promuovere una dieta sana e insegnare il mestiere del contadino.

«Gli orti sono anche uno strumento politico, per unirsi in tutto il mondo e fare sentire la propria voce: perché dall’America Latina all’Asia, all’Africa abbiamo tutti gli stessi problemi: di accesso alla terra, di monocoltura del cotone a discapito dei cereali e delle leguminose», spiega Typhaine Briand, che è responsabile Slow Food per i Paesi africani di lingua francese. Gli orti sono importanti baluardi contro l’agricoltura intensiva, gli OGM e il land grabbing, l’accaparramento delle terre.

Nella regione africana occidentale ci sono sia i giardini comunitari sia i giardini scolastici, «per insegnare anche ai bambini a produrre il cibo locale e spiegare loro che è importante coltivare i prodotti della terra».
Ci sono anche orti nelle carceri, come in Senegal, sia per educare i prigionieri, sia per migliorare la qualità del cibo che viene dato in prigione.

Grazie al lavoro della rete africana è stata realizzata, in collaborazione con Google, una mappatura online degli orti in Africa. A ogni orto corrisponde una scheda che ne descrive le caratteristiche. Nell’africa occidentale ci sono 300 sedi locali (convivum), e 1000 orti, quindi mille comunità di persone che condividono la stessa idea e che la applicano nel loro territorio secondo la filosofia di Slow Food.


«E’ una forza importante e abbiamo bisogno di tutte queste comunità sul territorio per cambiare l’attuale sistema alimentare che sta distruggendo l’ambiente , le comunità di piccoli produttori e le identità locali», spiega Briand. Che continua: «Slow Food consente di mantenere l'identità, la fierezza e i saperi che i nostri antenati ci hanno trasmesso, di essere attivi a livello locale, essendo al tempo stesso inseriti all’interno di una rete mondiale».
In Africa occidentale, in collaborazione con Slow Food, vengono portate avanti attività per preservare la biodiversità sul territorio, ripartendo dall’agricoltura tradizionale, da prodotti locali come il gari e la manioca.

Questo rilancio dell’economia rurale è molto importante per contrastare l’attività di multinazionali e investitori cinesi che praticano l’agricoltura intensiva per trasformare la manioca in alcool. Dal 2010 la rete di Slow Food in Africa, con la creazione del progetto degli orti, si è evoluta notevolmente. In Africa occidentale la rete si è costruita a partire dagli orti e ora si stanno realizzando molte attività per cambiare l’attuale sistema alimentare, come eventi di sensibilizzazione e attività di comunicazione (come articoli e film).

Conclude Typhaine Briand: «Per avere accesso a un'alimentazione buona, giusta e pulita Slow Food cerca di educare il consumatore, per fare sì che sia consapevole e responsabile. Il consumatore ha un peso enorme sul sistema alimentare: se decide di consumare a livello locale la sua azione stimolerà l’economia locale e l’attività dei piccoli artigiani sul territorio».

Foto di apertura: Miguel Medina/AFP/Getty Images
Tutte le altre foto sono della pagina Facebook: 10.000 Gardens in Africa

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