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Misurazione dell’impatto sociale: i 4 modelli
La sintesi del position paper del Cergas della Bocconi elaborato da Giorgio Fiorentini, Maria Vittoria Bufali ed Elisa Ricciuti sull’applicazione del metodo del “Social Return on Investment”. Fiorentini oggi in occasione del Salone della Csr e dell’innovazione sociale presenta le slides del modello Ecovalis (che trovate in allegato a questa news)
di Giorgio Fiorentini, Maria Vittoria Bufali e Elisa Ricciuti
Uno dei contributi e degli effetti più tangibili del dibattito apertosi attorno alla Legge “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale” (L. 106/16) è quello di aver recepito ed importato all’interno del contesto e del pensiero italiano una serie di istanze e paradigmi già ampiamente consolidati nella cultura imprenditoriale e nei sistemi giuridici e socio-economici anglosassoni e statunitensi, sui quali – per altro – la stessa Commissione Europea si è a più riprese pronunciata (CESE, 2008; CESE, 2009; CESE, 2013; GECES 2014) al fine di promuovere un progressivo adeguamento delle disposizioni normative, nonché un’armonizzazione di orientamenti, approcci e quadri di riferimento ai quali ricondurre prassi ed esperienze operativamente messe in campo dai paesi membri.
In tale prospettiva, la revisione e riformulazione che si sta proponendo, come conseguenza del nuovo assetto normativo, del concetto di imprenditorialità sociale (Fiorentini e Calò, 2013) ha introdotto una riflessione su ciò che ne costituisce uno dei fondamenti, la cifra essenziale, il tratto identificativo: l’impatto sociale, nella sua definizione e misurabilità (sia essa presunta o effettiva, auspicata o rinnegata). La metamorfosi del sostrato normativo, d’altro canto, non è altro che la diretta ed inevitabile conseguenza di una tardiva evoluzione che è in primo luogo culturale, in accordo alla quale l’imprenditorialità sociale è stata a tutti gli effetti riconosciuta nel suo status di contenuto, rispetto al quale la specifica veste giuridica detenuta dall’organizzazione che promuove il cambiamento sociale rappresenta il contenitore o veicolo.
Ad oggi, infatti, sembra esserci una crescente condivisione nel sostenere che il connotato realmente capace di tracciare un confine di demarcazione (per quanto labile e, talvolta, contestabile) fra l’imprenditorialità in senso lato e l’imprenditorialità sociale sia la capacità di mobilitare risorse materiali ed immateriali, così come attori e portatori d’interesse (Maiolini et al., 2013), attorno ad un modello di business che dia efficace copertura ad un bisogno sociale, inducendo quindi un cambiamento – auspicabilmente positivo – che si esprime in termini di incremento della qualità della vita dei beneficiari delle attività, servizi o dei prodotti di tale ente (Perrini, 2006; Perrini e Vurro, 2013; Fiorentini e Calò, 2013; Chiaf, 2015; Zamagni et al., 2015).
In quest’ottica, la forma giuridica e la generazione di valore economico o profitto perdono il potere definitorio finora detenuto ed acquisiscono una valenza strumentale, della quale le organizzazioni possono avvalersi più o meno efficacemente al fine di assicurare sostenibilità, durabilità e scalabilità della generazione di impatti sociali delle quali sono promotrici (Perrini, 2007; Fiorentini e Calò, 2013; Dal Maso e Fiorentini, 2013). Tali considerazioni, tuttavia, sono gravide di conseguenze: se il distinguo può essere operato solo a fronte della finalizzazione dell’agire economico alla reale generazione di un impatto sociale, la diffusione di metriche e modelli di misurazione atti a comprovare la sussistenza – e la ‘magnitudo’ – di tali impatti assume un’importanza imprescindibile in qualunque processo decisionale
Approcci e metodologie a confronto
Le spinte centrifughe alle quali si è assistito hanno fatto sì che la valutazione o misurazione dell’impatto sociale sia tutt’ora caratterizzata da una forte parcellizzazione e da un elevatissimo grado di eterogeneità in termini di correnti di pensiero, modelli e standard di riferimento, tanto che gli autori Stevenson et al. (2010) individuano ben 40 possibili approcci alternativi alla misurazione, come riconfermato dal recente contributo offerto a tale riflessione da Zamagni et al. (2015), i quali enumerano 39 distinte metodologie alle quali è possibile rifarsi nell’avviare un processo di misurazione dell’impatto e/o dell’outcome sociale. Fra questi spiccano, per rinomanza e livello di diffusione, le 4 metodologie che si pongono alle fondamenta della valutazione economica, ampiamente descritte ed approfondite dalla letteratura prodotta in materia (Perrini e Vurro, 2013; Zamagni et al., 2015; Chiaf, 2015), individuabili in:
• Modelli logici (Logframe, Impact Value Chain e Theory of Change)
Tali metodi configurano un approccio alla valutazione degli impatti, per sua natura, qualitativo e si basano su una ricostruzione ed illustrazione grafica dei nessi causali che connettono i vari snodi della “catena del valore sociale” (Simsa et al., 2014). L’output di tale sforzo valutativo è, quindi, rappresentato da un framework capace di “raccontare” il funzionamento di un programma o di un’intera organizzazione, illustrando in maniera estremamente intuitiva il processo di ottenimento degli impatti attesi a partire dagli input utilizzati per attuare il cambiamento sociale (Stern et al., 2012).
• Cost-effectiveness Analysis (CEA)
La caratteristica distintiva di tale metodo è quella di esprimere gli outcome sociali in unità naturali, quali, ad esempio, il numero di anni di vita guadagnati o di decessi evitati (Phillips, 2009). Proprio in virtù di tale specificità, esso ha trovato vasta applicazione nella valutazione di progetti ed interventi sanitari, consentendo un’agile misurazione del cambiamento addotto a fronte di un determinato investimento di risorse economiche.
• Cost-Benefit Analysis (CBA)
Il processo di valutazione in questo caso restituisce una misura dei benefici netti, calcolati come differenza fra il valore monetario dei benefici generati dal progetto o dall’organizzazione ed i relativi costi o, alternativamente, come ratio, in cui si mettono a rapporto i flussi di benefici attualizzati ed i costi (VAN del progetto o dell’intero portafoglio di attività dell’ONP).
• Metodi sperimentali, quasi-sperimentali ed approccio controfattuale
Essi rappresentano un “must” o “gold standard” della ricerca valutativa e del program assessment (Stern et al., 2012; Morris et al., 2012) e prevedono l’esecuzione di test ed esperimenti al fine di comparare un caso osservabile ed un caso ipotetico ed astratto (il c.d. “controfattuale”), per isolare l’effetto netto dell’intervento su una data variabile d’interesse e dimostrare l’esistenza di un nesso causale fra progetto messo in atto e impatti indotti (Stern et al., 2012).
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