Mondo

Effetto lobby sulla Birmania

Otto fra fondi pensione e assicurazioni britanniche e olandesi avvertono le multinazionali che operano nel Paese asiatico: «Rispettate i diritti o disinvestiamo»

di Paolo Manzo

Seicento miliardi di euro possono far applicare i diritti civili? Forse. In ogni caso alcuni investitori istitituzionali (fondi pensione e grandi compagnie assicurative britanniche e olandesi che gestiscono un patrimonio di questa portata) hanno deciso di mettere in guardia le società che investono in Birmania. Il Paese asiatico è infatti tornato alla ribalta per nuove violazioni: 1.500 dissidenti politici incarcerati e un premio Nobel per la pace, la dottoressa Aung San Suu Kyi, che non ha potuto presenziare alla cerimonia del centenario dei Nobel, per il timore di non poter più rientrare nel suo Paese. La popolazione civile è obbligata a eseguire lavori per il governo senza essere pagata. Molti i bambini delle minoranze etniche morti negli anni scorsi, per la stanchezza e le terribili condizioni di lavoro in cui sono costretti a lavorare. Numerose ed evidenti anche le prove del coinvolgimento della giunta militare nel traffico internazionale di droga, i cui proventi sono utilizzati per i progetti di espansione dell?industria turistica. La Birmania (oggi Myanmar) è un paradiso senza libertà. Solo il coraggio della San Suu Kyi (dirigente della Lega democratica nazionale) tiene ancora viva la battaglia nel Paese delle pagode. Ma da oggi il popolo birmano è un po? meno isolato. Cooperative insurance society, Ethos investment foundation, Friends Ivory & Sime, Henderson global investors, Jupiter asset management, Morley fund management, Pggm e Universities superannuation scheme si sono unite per lanciare un decalogo che deve essere rispettato dalle società che operano nel Paese asiatico. Altrimenti, molto semplicemente, il gruppo d?investitori sconsiglia di trattare le azioni di quelle aziende che non dovessero rispettare i dettami del decalogo. Il messaggio è forte e un punto a favore di tutti quelli che si battono per una maggiore eticità degli investimenti. Quali i consigli del decalogo alle aziende che operano in Birmania? Non lavorare con gli apparati dello Stato coinvolti in violazioni dei diritti fondamentali; i contratti con le agenzie governative assicurino il rispetto dei patti Onu su diritti civili e politici; la pubblicazione delle clausole umanitarie dei contratti; indagare sulla catena produttiva e verificare che a ogni livello si rispettino gli standard di buon trattamento; evitare joint-venture con i militari; assicurarsi che il capitale investito sia usato in modo trasparente rispettando le norme generalmente riconosciute dal diritto internazionale. Inoltre, nel decalogo di buona condotta, sono anche elencati i rischi per le imprese: perdita di fiducia da parte degli azionisti verso aziende che cooperano con un governo che calpesta i diritti fondamentali; eventualità di essere penalizzate dagli ambienti economici democratici; scarsa sicurezza dei dipendenti; minacce di nazionalizzazione ed esproprio; sanzioni sui beni prodotti; danno d?immagine derivante dalle campagne di ong; governi ed altri organismi internazionali. Il decalogo non impone il disinvestimento, ma punta «a fare pressioni sulle stesse aziende affinché prendano coscienza dei rischi e pongano in essere politiche efficaci ed efficienti per minimizzare tali rischi».


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