Formazione
Gli italiani già certificati: cresce anche il fatturato
Le aziende italiane certificate SA8000 sono 13. Per il momento, una piccola squadra di pionieri.
Le aziende italiane certificate SA8000 sono 13. Per il momento, una piccola squadra di pionieri; però un anno fa erano solo due e, assicurano gli esperti di questo emergente settore, tanti altri ci stanno pensando.
Che cosa hanno in comune queste imprese? I settori di attività sono i più svariati, ma si nota la prevalenza dei beni industriali rispetto a quelli di largo consumo. Apparentemente una contraddizione, perché i beni di consumo danno un?alta visibilità aziendale, che potrebbe accrescere il beneficio di immagine derivante dal marchio etico. In realtà non è così: «Il consumatore italiano medio guarda con attenzione al problema ambientale, ma deve ancora maturare una sensibilità sugli aspetti sociali dell?attività economica», spiega Marco Brandani, direttore generale della Maina Panettoni, unica azienda alimentare certificata. «Noi riportiamo sulle confezioni di prodotto il marchio etico, ma se ne accorgono in pochi. Il nostro impegno è premiato invece dalle catene distributive, in primo luogo la Coop per la quale produciamo il panettone, ma anche da altre grandi insegne».
Sono invece le grandi imprese industriali ad apprezzare maggiormente la certificazione, soprattutto in chiave di trasparenza e affidabilità. «I nostri clienti sono produttori leader di elettrodomestici, da Merloni a Whirlpool», dichiara il direttore generale di Acroplastica, Vincenzo Iavarone. «Per loro è molto importante avere fornitori sicuri da tutti i punti di vista. Inoltre ,noi operiamo in Campania, una zona ad alto tasso di lavoro nero. Con l?SA8000 abbiamo anche voluto dare un segnale forte, che smentisca lo stereotipo dell?impresa meridionale da sottoscala. E i risultati stanno arrivando: il fatturato è salito del 30% ».
Altro punto in comune delle aziende certificate è la dimensione medio piccola. «Innanzitutto, non è vero che l?immagine interessa solo le grandi imprese», afferma Annarosa Grossi, vicepresidente nazionale dell?Aicq, l?associazione dei certificatori di qualità. «Anche il piccolo imprenditore ha bisogno di credibilità sul territorio. Una cattiva reputazione sul fronte risorse umane allontana il personale qualificato, tipicamente il più sensibile agli aspetti sociali. Nelle piccole imprese la sensibilità sociale è più alta, perché c?è un contatto diretto tra l?imprenditore e i dipendenti».
Molte grandi imprese tuttavia ci stanno pensando, anche se i consulenti non possono fare nomi per obbligo di riservatezza. «L?interesse è diffuso», prosegue la Grossi, «ma si tratta di organizzazioni complesse, sostanzialmente conservatrici, che faticano ad affrontare i cambiamenti. Hanno bisogno di molto tempo per fare questo passo».
L?impegno richiesto dalla certificazione in effetti è notevole: anche per un?azienda già in linea con i principi di etica del lavoro (il caso prevalente in Italia, dato che basta rispettare le leggi), per ottenere il marchio bisogna produrre una vera e propria montagna di carta, dedicando a questo lavoro una squadra di risorse interne, spesso affiancata da consulenti. Tutto questo costa, e al momento non esiste alcun genere di incentivi (ad esempio, punteggi nelle gare per gli appalti pubblici) che possano far sperare in un ritorno economico dell?investimento.
Tra i piccoli c?è anche chi si è certificato per combattere il lavoro nero e lo sfruttamento, insomma per principio. «è vero, è stata una nostra idea», spiega Elisabetta Ballotta, figlia del fondatore dell?omonima azienda bolognese. «Noi fabbrichiamo molle che vanno nei ricambi per automobili e biciclette, un settore molto specialistico. Ci siamo resi conto che anche nel nostro territorio ci sono situazioni di grave sfruttamento a danno di lavoratori stranieri. Certificarsi è stato quindi anche un modo per creare attenzione nell?area bolognese intorno al problema: tanti imprenditori della zona ci hanno contattato per sapere di più dell?SA8000». Molto soddisfatta anche Lucia Pasquini, direttore commerciale dell?azienda di famiglia, la Chimica Edile. «Noi ci siamo mossi per avere la possibilità di sanare situazioni intollerabili che abbiamo visto presso alcuni nostri fornitori in Africa», racconta Pasquini. «Attraverso il dialogo siamo riusciti a ottenere i primi risultati in Sudafrica: miglioramenti economici, assicurazioni antinfortunistiche e previdenziali, assistenza sanitaria. Piccoli passi, ma siamo contenti di aver dato un contributo».
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