Cultura
Il rebus delle armi al tempo della guerra
Gli analisti discutono se e come cambiare gli standard.
Radiografare un?industria, capire quanto del suo modo di produrre rispetti i diritti dei lavoratori e l?ambiente, quanto siano trasparenti i rapporti con i clienti e la collettività. Il rating etico ai gestori dei fondi offre strumenti per scegliere.
L?11 settembre è arrivato anche per questo mondo. Cambierà il modo di ?prendere le misure? alle imprese? «Parlando con le principali agenzie tedesche», dice Walter Kahlenborn, esperto di Adelphi Research un centro studi tedesco sulla finanza responsabile, «gli specialisti dicono che la crisi non cambia, per il momento, gli elementi di valutazione».
Non che non ci sia dibattito in Germania, anzi. «Si inizia a riflettere su come debbano essere valutati i rapporti fra le aziende e le forze armate, in un contesto bellico come quello che viviamo», dice il ricercatore. Qualcuno sostiene addirittura che debba anche essere ripresa in considerazione «la questione dei rapporti fra aziende e servizi segreti». Insomma, ci si chiede se ciò che prima era valutato negativamente debba essere riconsiderato.
Chi fa direttamente rating come Geneviève Ferone, direttore di Arese, la prima agenzia francese, sposta la questione in termini più filosofici. «Mi pare che dopo l?11 settembre il lavoro che facciamo sia sempre più pertinente», dice, «nel senso che è estremamente più chiaro quello che noi facciamo. È più chiaro adesso che vi è una responsabilità comune e che ognuno si deve assumere la propria». Secondo l?analista, «le imprese, soprattutto se multinazionali, hanno un grande compito nella ricerca dell?equilibrio economico e ambientale» e che è più evidente «come il loro core-business non possa essere nelle operazioni a corto termine. C?è una responsabilità più grande che diventa oggi ancora più urgente».
A entrare nel dettaglio tecnico ci pensa Matteo Bartolomeo di Avanzi, la più importante agenzia italiana. «La questione armamenti e forniture militari in generale», dice, «diventa elemento su cui riflettere. Alcuni gestori facevano già una distinzione fra forze di pace e forze di guerra. O fra forniture militari a Paesi Nato, Onu, o a Paesi con regimi dittatoriali». Per il rating un vero rompicapo: «Non è sempre facile ricostruire la storia di questi affari. Chi fornisce parti di aereo spesso non può sapere in quale contesto sarà utilizzato il velivolo». C?è chi sottilizza, analizzando l?acquirente delle forniture di armamenti. «Si distingue fra Paesi democratici e occidentali e regimi dittatoriali», conferma Bartolomeo, «ma, a esser sincero, mi sembra un approccio abbastanza sterile, improntato a un atteggiamento di superiorità».
«Le armi restano strumenti di morte e di sofferenza», aggiunge da Parigi la Ferone, «non ci potrà essere nessun distinguo per le aziende che alimentano in qualche modo il traffico di armi e che quindi forniscono strumenti ai tantissimi conflitti locali. Certo», prosegue, «qualche elemento di distinzione dovrà probabilmente essere introdotto, poiché putroppo è chiaro che non tutti i conflitti mondiali potranno essere risolti senza interventi militari».
La congiuntura finanziaria, che suggerisce il ricorso ai titoli di debito pubblici, in luogo delle più rischiose azioni od obbligazioni, pone ai gestori il problema di una valutazione scrupolosa degli Stati. Qualcuno escluderà Paesi in guerra? «In Germania, il problema non sembra avvertito», risponde Kahlenborn «anche se certamente non può essere escluso a priori. L?attenzione è concentrata sull?emergenza: i risparmiatori fuggono dai fondi».
«Cambia, probabilmente il concetto di ?Paese oppressore?», aggiunge Bartolomeo, «con il rischio di un appiattimento sui criteri e le esigenze della politica estera Usa». Insomma, che la scelta di campo occidentale faccia aggio sulla questione dei diritti.
Difficoltà anche per i gestori, cui spetta l?ultima decisione sui titoli. «Difficoltà tecniche, perché la Borsa va giù», osserva la Ferone, «ma chi si occupa di investimento responsabile sta avendo una forte legittimazione: l?idea di un ancoraggio etico degli affari e e della finanza, su cui oggi riflettono tutti, è da tempo alla base del loro lavoro»
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