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Sergio Staino: «Giornale vuol dire non essere soli»
Era il 1979, quando dalla penna di Sergio Staino nacque Bobo, prototipo satirico del militante di partito. Oggi Staino è diventato ufficialmente direttore dell'Unità. «Per la prima volta un vignettista dirige un giornale serio. E il Segretario del Partito mi ha detto: voglio un giornale libero, aperto al dibattito, mai sdraiato sul Governo. E così sarà»
di Marco Dotti
Pronto, Direttore… A proposito, posso chiamarla Direttore? «Certo, è una cosa meravigliosa. Mica me ne vergogno, anzi». Sergio Staino è il nuovo direttore dell’Unità e quando gli chiediamo se non gli pesi, visto il momento di crisi, non solo del giornale fondato da Antonio Gramsci, ma dei quotidiani in generale ( – 13,79% per il Corriere della Sera, -12,85% per La Repubblica), il creatore di Bobo, ci risponde di no. «Non mi pesa, ma è una responsabilità molto grande. Una responsabilità che prendo con molto entusiasmo».
Direttore, non ci vorrà dire che rinuncia all’ironia?
L’ironia continuerà a esserci, non intendo cambiare come persona. Ma le racconto un episodio divertente: uno storico vignettista come Vincino era quasi più emozionato di me. Mi ha chiamato dicendomi: “Sergio, è la prima volta che un vignettista diventa direttore di un giornale serio! È bellissimo!”
Non è così?
Certo che è così e negli incontri che faccio, perché ne avevo programmati tanti per la presentazione del libro Alla ricerca della pecora Fassina, percepisco un’affettuosità e una vicinanza incredibili. Un pubblico, fatto di giovani e anziani, composto ovviamente tutto da gente di sinistra si aspetta tantissimo dalla mia direzione dell’Unità. Prende questa scelta come un segnale forte di cambiamento del giornale. Non li devo deludere. Ho composto una squadra di lavoro e domani cominciamo a firmare. Ci vorrà tempo per percepire a pieno i cambiamenti, direi 2-3 mesi, ma la bella notizia è che cominciamo.
E Renzi?
Il segretario del Partito mi ha dato totale carta bianca. Mi ha detto "voglio un giornale libero, aperto, tutto di dibattito e di confronto. Non lo voglio sdraiato sul governo". Questa è la raccomandazione che mi ha dato.
In un certo senso, chi fa satira dovrebbe essere immune dallo sdraiarsi all'ombra del governo…
La difesa della satira è l'avanguardia della difesa della libertà di opinione. Ma questa libertà non può essere confinata lì. Non ci sono limiti per l'espressione intellettuale e artistica. Se non quelli, elementari, del rispetto. Libertà totale. Poi sta ai lettori decidere cosa apprezzare e cosa non apprezzare.
Affidare a un vignettista la direzione di un quotidiano è un segno in tal senso?
Io ci spero molto, essendo l'Unità un giornale che vuole coprire tutta l'area della sinistra, un'area che va da Napolitano a Stefano Fassina.
Bobo da elettore è diventato lettore e, infine, direttore…
Se c'è un personaggio che riesce a parlare a quest'area, essendo riconosciuto come un compagno, un sodale, uno di noi, è proprio Bobo. E poi c'è una liberazione un'ipoteca che ci portiamo dentro da più di un secolo…
Quale ipoteca?
Quella che la satira, il fumetto, la graphic novel siano cose di serie B, marginali riempitivi. Ancora, qua e là, questa percezione rimane. Non abbiamo imparato che un Art Spiegelman ha fatto una storia magnifica sulla Shoah, insegnando e capendo cose che molti tardano tutt'oggi a capire… Questo per dirle, che da un lato c'è molto coraggio in questa scelta, dall'altra molta innovazione. Ma dall'altro ancora, c'è il segno di un lungo cammino dentro una tradizione culturale che è modernissima e attualissima, pur avendo un glorioso avvenire dietro le proprie spalle. Mi piace dare un segnale in questo senso, anche attraverso di me. Un segnale anche di responsabilità.
Satira e responsabilità… una contraddizione…
No, perché la satira richiede grande responsabilità. Non può ridursi a goliardia, anche se spesso la goliardia è una componente della satira. In certi momenti storici, quando bisogna dire qualcosa che serva, che costruisca e non solo distrugga, allora deve contenere anche una posizione, una specie di messaggio…
La goliardia non le piace, insomma…
No, no… la goliardia in certi momenti, molto oscurantisti, può essere salutare ed efficacissima. Allora, lo sberleffo è salutare, vitale direi. Pensiamo al Male, quando il compromesso storico rischiava di riformare in chiave oscurantista la creatività. Allora, una cosa come Il Male va benissimo: un graffio, una protesta, un grido. Ma se il clima è diverso, allora anche noi dobbiamo esprimere opinioni tenendo conto di quel tempo e con una forma che non tolga il sorriso…
Se pensiamo a certe vignette d'Oltralpe, al netto del cattivo gusto, quel sorriso è ben difficile trovarlo…
Il sorriso è un'arma potentissima. Il sorriso smuove il cuore e commuove la regione e, al tempo stesso, ha il compito di spogliare di retorica i messaggi che sono più patetici. Il sorriso ti leva l'esagerazione.
Sono passati trent'anni: nel 1986 – per 2 anni e 127 numeri – uscì Tango, l'inserto satirico dell'Unità. Da direttore di un inserto satirico a direttore dell'Unità… Sono cambiate tante cose, nel frattempo. Ce ne dica una…
L'esperienza diTango fu importante. Fondamentale, direi. Tango contribuì alla laicizzazione del P.C.I. Il Partito Comunista Italiano era una Chiesa a tutti gli effetti. Era una "cosa" strutturat ain forma molto gerarchica, con una voglia di apparire unitaria e seriosa. La satira andava usata solo contro gli avversari. Con Tango, invece, la satira si rivolgeva contro il partito.
Questo ha contribuito a rendere il Partito una cosa un po' più laica, più articolata, più umana. Se il Partito Comunista Italiano è l'unico partito che ha retto al crollo del Muro di Berlino è stato perché, a un certo, punto, era un partito in cui l'elemento filosovietico si era già dissolto e debellato e c'era una visione laica e socialdemocratica della politica.
La satira è servita molto in questo senso.
Ora si dovrebbe un po' laicizzare anche il PD…
Abbiamo passato anni in cui la solitudine è stata in primo piano, sviluppata all'ennesima potenza. Oggi i giovani si sentono falliti perché pensano di essere colpevoli, letteralmente colpevoli, delle proprie sofferenze. Credono di subirle per loro incapacità e, al contrario, non riescono a cogliere il fatto che fanno parte di un numero di persone identiche a loro. Persone che sentono, soffrono, vivono le stesse cose che loro sentono, soffrono, vivono.
Bisognerebbe depoliticizzare un po' il sociale, non trova…
La solidarietà a cui abbiamo assistito dopo il recente sisma, ci dice di sì. Ci dice che non la solitudine, ma la relazione è tutto. Per questo io credo che un giornale debba dar voce a queste voci, debba essere di e parte di queste voci. "Giornale" vuol dire non essere soli. La parafrasi di Cesare Pavese è chiara: contro le false amicizie, la virtualità senza realtà, dobbiamo rimettere in primo piano il rapporto umano. Solo il rapporto umano ci può permettere di diventare una forza propulsiva e positiva.
Partendo da un giornale?
Anche partendo da un giornale.
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