Mondo

Ora tocca ai volontari. Il day after a Jenin

Testimonianze dal campo profughi teatro della più discussa azione militare israeliana. Dove religiosi e personale delle ong tentano di aiutare la popolazione a rivivere.

di Emanuela Citterio

Dalla finestra di casa sua ha visto tutto. Suor Annamaria Pastore, 54 anni, abita nel centro della città di Jenin, teatro della controversa offensiva dell?esercito israeliano nei primi dieci giorni di aprile. Un massacro, per i palestinesi, in cui hanno perso la vita 500 persone. Un?operazione militare antiterrorismo per Israele, il cui bilancio sarebbe di una settantina di morti palestinesi e di 23 soldati di Israele. Ciò che di sicuro è rimasto dopo il ritiro dell?esercito si può riassumere in una parola: devastazione. «Torno ora da un sopralluogo», ci dice al telefono la missionaria italiana, che vive con altre due consorelle nella parrocchia di Jenin. «C?è ancora gente che scava fra le macerie, con le mani, per disseppellire i cadaveri. Ho appena incontrato un uomo che conosco. Gli hanno riferito che il figlio è stato ucciso dai soldati. Ho ancora negli occhi il suo volto mentre guardava i corpi che venivano estratti dalle macerie». Racconta soprattutto di incontri con persone, suor Annamaria, che ha vissuto a lungo tra gli israeliani e ora, da cinque anni, fra i palestinesi. «Ho ascoltato», ci risponde quando le chiediamo qual è stata la prima cosa che ha fatto non appena entrata nel campo. Ci racconta anche quello che ha visto, durante l?offensiva dell?esercito israeliano. «Siamo vicinissime al campo, possiamo vederlo dalla finestra della nostra casa. E quello che abbiamo visto sono stati bombardamenti a tappeto, autoambulanze bloccate, un medico colpito a morte mentre cercava di portare soccorso».
Mentre scriviamo, nel campo di Jenin manca la luce, il cibo, le infrastrutture sono distrutte. Per il soccorso umanitario c?è solo il Medical Reliefe, coordinamento di ong palestinesi. Contattiamo i volontari italiani della comunità Papa Giovanni XXIII, che sono riusciti a entrare dopo un lungo tragitto a piedi fra le montagne. «Ad assistere la popolazione ci sono solo i medici locali», denuncia Andrea Pagliarani. «Jenin è sotto assedio, persino la Croce rossa deve lasciare viveri e medicinali ai bordi del campo». C?è molta solidarietà spontanea, volontari venuti anche a titolo personale per prestare soccorso, molti gli americani. Un?associazione israeliana composta da ebrei e arabi, Tahywsh, ha organizzato un convoglio umanitario, ma di 21 camion ne hanno lasciati passare solo 4. Dalle organizzazioni non governative italiane che stanno provando a mandare soccorsi arrivano altre denunce: 5 medici volontari di Terre des hommes Italia sono stati fermati all?aeroporto di Tel Aviv e rimpatriati dopo una notte passata in cella. «Ci hanno arrestato senza darci alcuna spiegazione e ci hanno restituito il passaporto con un visto di non ritorno», dice Raffaele Salinari, presidente dell?associazione. «Ora chiederemo alle autorità israeliane di esprimersi chiaramente sulle motivazioni per cui viene impedita l?assistenza umanitaria». Terre des hommes non ha intenzione di rinunciare al suo progetto, che consiste in una staffetta di gruppi volontari di medici e infermieri che dovrebbero alternarsi nei territori occupati per l?assistenza medica alla popolazione.
Il consolato italiano di Gerusalemme, intanto, ha chiesto alle ong italiane presenti da più tempo di coordinare gli aiuti. Il Comitato delle ong italiane in Palestina, una ventina in tutto, ha creato un conto corrente per gestire i fondi e affrontare le emergenze. A Jenin, prima dell?assedio, i volontari dell?ong italiana Nexus realizzavano con la popolazione progetti di sviluppo. «Ora bisognerà ricostruire dalle macerie» dicono.

Info:
Il conto corrente delle ong:
The committee of italian ngos in Palestine, Arab Bank, Bethany Branch Palestine
c/c 9100-312 847-4-593
swift code: arabps 22100

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