Famiglia

La sinistra senza senso comune

Intervista a Sergio Ricolfi sui metodi della politica.

di Ettore Colombo

“Bell?esempio di democrazia, questi francesi che amano gli xenofobi. Ora la smettano di darci lezioni”. Luca Ricolfi insegna alla facoltà di Psicologia dell?università di Torino. Sarà per questo che, affinando le domande sui metodi della politica, trova delle buone risposte. Vita: Vince la destra xenofoba e la sinistra implode, dicono le cronache. Ma è andata davvero così, professore? Luca Ricolfi: Credo plausibile interpretare il risultato nella stessa chiave in cui, nel mio ultimo libro sulle elezioni politiche in Italia (La frattura etica), interpreto il risultato di casa nostra: come espressione di uno spostamento reale della società e della cultura verso destra e non come mero riflesso dell?egocentrismo e dell?irresponsabilità dei dirigenti della sinistra nella politica delle alleanze. Detto altrimenti, alleanze diverse avrebbero potuto attutire il colpo o mascherare il cambiamento, ma non cancellare il dato di fondo: l?opinione pubblica è insoddisfatta dei governi di sinistra. Non solo in Francia. Vita: La sorpresa del risultato francese non deriva forse da una politica che non sa, non vuole o non riesce a interpretare la società ? Ricolfi: Che la politica sia sorda e lontana dalla società non è una novità, ma un dato di fondo che accompagna la maggior parte delle democrazie da decenni, quindi non può essere la spiegazione del cataclisma. A me la novità sembra un?altra: questa sordità e questa lontananza sono cresciute molto più a sinistra che a destra, e molto più al centro che alle ali estreme. Sicché ci sono domande, come quella di sicurezza, ma anche di tutela economica, che oggi colgono la sinistra più impreparata della destra, e soprattutto trovano i partiti centrali (moderati ed europeisti) più spiazzati dei partiti estremi, siano essi di destra o di sinistra. Vita: Quali paure agitano non solo l?Italia o la Francia, ma l?intera Europa benestante? Ricolfi: Ho l?impressione che, nella lista delle paure, ve ne siano alcune di troppo e alcune dimenticate. Nonostante tutto, il razzismo mi pare più un argomento di lotta politica che una realtà culturale. Il fatto è che si continuano a confondere tre fattori radicalmente diverse: la domanda di sicurezza, la paura dello straniero (xenofobia) e il razzismo. Questa confusione concettuale è alle origini della cecità politica della sinistra in Europa: la catena di salti logici che dalla domanda di sicurezza conduce alla diagnosi di razzismo e fascismo è un potente meccanismo di autoaccecamento. La cultura di sinistra ci si è avvitata, in questi anni, precludendosi ogni capacità di dialogo con il senso comune, con i pensieri delle persone normali, a-ideologici. Ma ci sono anche paure che mancano all?appello. Fra queste mi sembra che la più importante sia il sentimento di insicurezza economica, soprattutto da parte dei ceti popolari, un sentimento che le ali estreme dello schieramento politico sembrano intercettare oggi assai meglio dei partiti moderati. Come si fa a non vedere che mentre il ceto politico di governo si trastullava con la burocrazia e la tecnocrazia europea, la gente comune sperimentava livelli di disoccupazione, povertà e insicurezza economica crescenti? Come si fa a vantare l?ingresso in Europa quando il numero di soggetti sotto la soglia della povertà aumenta (vedi l?Italia dell?Ulivo) o l?economia del Paese perde colpi rispetto a quelle degli altri Paesi, come in Francia? Ecco perché più che parlare di Europa benestante, mi chiedo quali sono i ceti, i gruppi sociali, le aree geografiche che per esperienza o istinto diffidano della globalizzazione e vivono l?avventura europea più come un rischio che come un?opportunità.


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